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402 | partenza e ritorno. |
alle forbici e ai temperini, e all’opera. Ma i punti non si vedono, e più ci si affanna e meno si trovano, e le dita gingillano tremanti, e lo stivale scivola dalle mani, e il mio amico s’è ferito, ed io pure, e il tempo passa.... Ah! i tamburi! siamo perduti! — Il reggimento partì senza di noi; lo raggiungemmo in vettura un’ora dopo che s’era accampato. — Come mai? — domandarono gli amici. Io risposi mostrando i piedi: li avevo cacciati nel primo paio di barche postomi in mano dal primo ciabattino di Rovigo che avevamo mandato a chiamare: erano spettacolose. Un minuto dopo, un biglietto d’arresto a me e al mio compagno. Appena entrato nella tenda, sbattei in terra gli stivali gridando: — Là, carnefici! — Ma lei che non aveva l’impedimento della calzatura, — domandò poi il colonnello al mio compagno, — perchè non è venuto? — Colonnello! abbandonar gli amici nella sventura....
Risposta: — Quante volte non ho predicato, fin da quando eri bambino, contro questa maledetta manìa di portar le scarpe strette! Chi sa cos’avrà detto di te il colonnello! Ma non c’era almeno una donna che avesse un po’ la testa a segno in quella casa di Rovigo, che cercasse subito, mandasse a vedere, provvedesse, vi levasse in qualche modo d’impiccio? Pare impossibile! tutti senza giudizio.
Dalle vicinanze di Mestre, 20 luglio.
— ... Ho visto Venezia da lontano. Non credevo che si potesse amar tanto una città da provare, vedendola, quello stesso effetto che fa l’innamorata. Al primo vederla, così stupenda e gentile, che sembra a galla sul mare, non mi venne sulle labbra nè un «viva!» nè un «bella!» come parrebbe spontaneo; mi venne una parola più affettuosa e più dolce, ed esclamai: — Cara! — Dice