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partenza e ritorno. 401

ridotto come se mi fossi cacciato in un bagno bell’e vestito; l’acqua mi correva a rigagnoli giù per la schiena e pel petto; il cappotto mi s’era inzuppato che pesava da non poterlo più reggere; nella strada un palmo di fango; sicchè, figurati! Passando, vedevamo per le finestre delle case dei contadini «rara tralucer la notturna lampa» e qualche ombra far capolino un istante e sparire. Ed io pensavo a te, che quand’ero fanciullo, la sera, spingevi il mio letticciuolo verso la finestra, perchè mi piaceva sentir battere la pioggia sui vetri e il fischio lungo e lamentevole del vento, e addormentarmi fantasticando paurose avventure di pellegrini smarriti per le foreste, e misteriosi lumicini risplendenti da lunge, e fatali castelli ospitali. — Oh povero ragazzo, in che stato! — esclamavi giungendo le mani quand’io tornava dalla scuola un po’ fradicio; povera mamma, se tu mi vedessi adesso! — Era il giorno delle disgrazie. Arriviamo vicino a Rovigo, piantiamo il campo in un pantano, e poi via, in paese. Io e un mio amico troviamo una stanzuccia dove asciugarci e riposare, in casa d’una buona famiglia; ci mettiamo a letto, dormiamo; balziamo giù alle nove della mattina per andare al campo e partire.... Dio eterno! non m’entran più gli stivali; li ho lasciati accanto al fuoco, si son ristretti e induriti che non ci passa neanco la gamba d’un bambino. — Aiuto, amico, aiuto per pietà! — A noi! — egli grida; si rimbocca le maniche, e li tutt’e due, tira e tira e tira, e smetti per respirare, e ripiglia con nuova lena, e smetti daccapo, e ritenta ancora con tutte le forze della disperazione.... Ah invano! Le gambe intormentite si rilassano, le braccia spossate cadono penzoloni, e la testa si riversa all’indietro cogli occhi fuori dell’orbita e la fronte grondante di sudore. — Un estremo rimedio! — grida

l’amico; scucir gli stivali. — Scuciamo! — Mano


De Amicis 26