ridotto come se mi fossi cacciato in un bagno bell’e vestito;
l’acqua mi correva a rigagnoli giù per la schiena
e pel petto; il cappotto mi s’era inzuppato che pesava
da non poterlo più reggere; nella strada un palmo di
fango; sicchè, figurati! Passando, vedevamo per le finestre
delle case dei contadini «rara tralucer la notturna
lampa» e qualche ombra far capolino un istante e sparire.
Ed io pensavo a te, che quand’ero fanciullo, la
sera, spingevi il mio letticciuolo verso la finestra, perchè
mi piaceva sentir battere la pioggia sui vetri e
il fischio lungo e lamentevole del vento, e addormentarmi
fantasticando paurose avventure di pellegrini
smarriti per le foreste, e misteriosi lumicini risplendenti
da lunge, e fatali castelli ospitali. — Oh povero ragazzo,
in che stato! — esclamavi giungendo le mani quand’io
tornava dalla scuola un po’ fradicio; povera mamma, se
tu mi vedessi adesso! — Era il giorno delle disgrazie.
Arriviamo vicino a Rovigo, piantiamo il campo in un
pantano, e poi via, in paese. Io e un mio amico troviamo
una stanzuccia dove asciugarci e riposare, in casa d’una
buona famiglia; ci mettiamo a letto, dormiamo; balziamo
giù alle nove della mattina per andare al campo e
partire.... Dio eterno! non m’entran più gli stivali; li ho
lasciati accanto al fuoco, si son ristretti e induriti che
non ci passa neanco la gamba d’un bambino. — Aiuto,
amico, aiuto per pietà! — A noi! — egli grida; si rimbocca
le maniche, e li tutt’e due, tira e tira e tira, e
smetti per respirare, e ripiglia con nuova lena, e smetti
daccapo, e ritenta ancora con tutte le forze della disperazione....
Ah invano! Le gambe intormentite si rilassano,
le braccia spossate cadono penzoloni, e la testa si
riversa all’indietro cogli occhi fuori dell’orbita e la
fronte grondante di sudore. — Un estremo rimedio! — grida
l’amico; scucir gli stivali. — Scuciamo! — Mano