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386 partenza e ritorno.


— Qua! — esclamò il vecchio aprendo le braccia; — qua figliuolo! E stringendosi la mia testa contro la spalla, mormorò colla voce tremante: Se questa fosse l’ultima volta che t’abbraccio.... voglia il cielo.... che questo segua per causa mia. —

Il burbero mi strinse la mano, mi guardò fiso, e si ritrasse.

Io e mia madre ci fissammo un istante; essa mi si slanciò tra le braccia, mi avvinse il collo con una forza virile, mi coprì di baci disperati, poi afferrandomi con una mano un braccio e premendomi l’altra sulla spalla, stretta, attaccata al mio fianco, si fece trascinare, più che condurre, sino alla porta. Là mi sciolsi a forza e mi slanciai giù per le scale. Nel punto istesso, come se m’avesse visto piombare in un precipizio, ella gettò un grido lungo, straziante: — Alberto! Alberto! —

Sentii, continuando a scendere, che erano accorsi tutti gli altri; udii un rumore confuso di voci; il mio soldato fra gli altri che diceva: — Coraggio, signora; io gli starò sempre vicino; glielo prometto!... — i singhiozzi disperati di mia madre; un ultimo e stanco grido di: — Alberto! — e poi più nulla.

Traversando frettolosamente il cortile incontrai i quattro nipotini del vecchio che tornavano dalla scuola; li fermai, li copersi di baci: — Oh! me li soffoca! — gridò la bambinaia spaventata.

— Signor tenente, se vedesse! — esclamò l’ordinanza raggiungendomi col fazzoletto agli occhi.

— Taci. —

E via di gran passo.