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partenza e ritorno. | 381 |
— Amico! — grido io battendo le mani.
— Italia! — egli risponde nello stesso punto apparendo sul terrazzino in maniche di camicia e in atteggiamento ispirato.
— Parto alle otto. —
Scompare, torna vestito, leva in alto il bastone: — Ti aspetto alla stazione! — esclama, e precipita giù per le scale urlando: — Viva la guerra! — e facendo scorrere il bastone sui ferri della ringhiera che faceva un fracasso di casa del diavolo.
L’ordinanza mette nel baule la tunica e i calzoni. Atto di languida sorpresa della ninfa. Grande spalancamento d’occhi della cuoca.
— Alberto, — esclama mia madre sostando dal suo affannoso andirivieni.
— Eccomi. —
Mi tira in disparte.
— Dimmi.... dove andate, lo sai?
— A Piacenza.
— A Piacenza. E.... dimmi un po’: è una città fortificata Piacenza, non è vero?
— Sì, è fortificata.
— Resterete là.
— Non credo.
— Ma.... non le difendono le città fortificate?
— Quella là no, perchè noi andremo avanti, ed essa resterà indietro.
— Già.... — ella disse coll’aria di chi perde una speranza. E ritornò di là.
Altra scampanellata; apro: è mia sorella maggiore. Mi stringe forte la mano e va di là.
Terza scampanellata. È mio fratello Ettore. Stretta di mano, e via.
Do un’occhiata alla ninfa: oh Dio, che sfinimento!