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partenza e ritorno. 379


partenza.

I.

Il 6 di maggio, verso le cinque di sera, stavamo in crocchio una diecina d’ufficiali sulla porta della caserma, quando s’udì un passo precipitoso giù per le scale e subito dopo comparve l’aiutante maggiore affannato gridando: — Signori! Si parte questa sera alle otto. Bagagli in caserma alle sette. Montura di marcia. —

Un grido di gioia, e senza neanco domandare dove s’andava, via di corsa, chi al caffè vicino ad avvisare gli amici, chi in caserma a chiamare l’ordinanza, e chi a casa. Di lì a un momento scoppia nel quartiere uno strepito d’inferno, sonano i tamburi, si sparge la notizia nel vicinato, la gente accorre, e in pochi minuti, di casa in casa, di strada in strada, vola la voce per mezza la città, e si propaga l’allarme fra le mamme.

Corro a casa, salgo le scale a tre scalini alla volta, picchio, m’aprono, è mia madre.

— Dio mio! cos’hai? cosa c’è? —

Ansavo come un cavallo.

— Bisogna partire.

— Oh!

— Già.... e non c’è tempo da perdere.

— Quando?

— Alle otto.

— Alle otto; — ripetè collo stesso accento mia madre, come per eco, e restò li senza far motto nè gesto, guardandomi con aria di stupore.

— Presto, presto; bisogna fare il baule; alle sette