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378 | partenza e ritorno. |
smisurata battaglia, m’appariva un immenso velo di nebbia rotto qua e là a grandi tratti, d’onde si vedevano i nostri giovani reggimenti lanciarsi all’assalto dei colli, retrocedere, risalire ostinati; e squadroni di cavalieri a lancia calata irrompere pancia a terra contro i quadrati; e batterie raggiungere di volo altre batterie, e dal sommo delle alture fulminare e squarciare i fianchi delle colonne fuggenti; e stormi infaticabili di bersaglieri sparpagliarsi e riannodarsi e inseguire e recedere e celarsi e ridistendersi in lunghe catene; e in ogni parte assalti succedere ad assalti, linee succedere a linee, e il cielo rimbombare dell’orrendo fragore. Quand’ecco tutto ad un tratto si fa un alto silenzio, la nebbia si dissipa, la polvere dispare, sulle creste di tutti i monti ondeggiano i nostri battaglioni, sventolano le nostre bandiere, echeggiano le nostre fanfare, e dall’uno all’altro capo d’Italia un grido di gioia lungamente preparato, lungamente compresso, si sprigiona e.... Sii pure immenso, o grido, e risuonino di te tutte le volte del cielo; ma non me lo copri, no, non me lo copri quel filo di voce tremola che prorompe dal seno.... Oh Dio! la mia testa, la mia testa!
Mi slanciai fuor dalla camera, uscii dal Palazzo; Piazza Castello era deserta e queta come il cortile d’un vasto convento; la collina di Superga si disegnava distintamente sul cielo limpido e stellato, e la facciata della Gran Madre di Dio, rischiarata dal raggio della luna, pareva che fosse lì a due passi. — Che bella notte! — esclamai. — Oh! io sono veramente felice! —
Ma un’immagine turbava quella mia felicità: l’immagine di una povera donna, seduta in un cantuccio della sua cameretta, colla fronte appoggiata sulle mani, al buio, che pensava, pensava.