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376 partenza e ritorno.

li. Se non ci fossero adesso cinquecentomila madri che piangono, ci sarebbero fra venti, fra trent’anni. Noi ci sacrifichiamo pei nostri figliuoli, pei cinquecentomila bambini e le cinquecentomila bambine che adesso stanno ancora nelle fasce; queste hanno in quelli i loro predestinati amanti, i loro predestinati sposi; non vorremmo noi assicurare, per quanto sta in noi, il loro avvenire da ogni dolore, da ogni sventura, e fare che un giorno essi possano innamorarsi, sposarsi, e moltiplicarsi in pace? —

Mia madre sorrideva, ma tornava subito trista. — Tutto questo è vero.... — diceva sospirando; — ma non basta, figliuol mio, non basta a consolare una madre! —

E appoggiati i gomiti sulla tavola e abbandonata la fronte sulle mani, piangeva tacitamente. Io tentavo di consolarla. — No, figliuolo; vattene fuori, va a cercare i tuoi amici, io non voglio rattristarti; lasciami pianger sola; va. —

Era di sera; ella stava là al buio in un cantuccio della stanza, sola, muta, e pensava e pensava.


Non ho esperimentato mai quanto in que’ giorni la meravigliosa potenza dell’immaginazione sul sentimento. Cominciavo talvolta, così per ozio, a fantasticare intorno ai casi possibili della guerra, e poi a poco a poco mi raccoglievo e m’internavo così profondamente nella immaginazione delle battaglie, delle entrate trionfali, dei ritorni, che mi pareva proprio d’esserci, di sentire, di vedere, e mi si rimescolava il sangue, e mi stringevo la testa fra le mani che pareva la mi dovesse scoppiare tant’era il tumulto delle idee che vi turbinavano dentro, e il petto mi ansava, e mi pigliavano degl’impeti di tenerezza infantile.

Una notte ero di guardia al Palazzo Madama; ero