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374 | partenza e ritorno. |
gioventù, — mormorava il buon vecchio. E la cuoca si nascondeva dietro un’imposta e dava in uno scroscio di risa. E la sua padrona faceva un bocchino ridente che voleva dire: — Che cari matti! — E la signora napoletana mi lanciava un frizzo, e mia sorella scappava, e mia madre mi tirava pel vestito, e mio fratello brontolava: — È troppo, — e mio cugino il colonnello, quando c’era, soldato rigido, austero, che mi voleva un gran bene, ma mi faceva delle gran lavate di testa, per cui gli avevo posto il nome di burbero benefico, mi diceva seriamente: — Sii serio. —
E davanti a lui, non lo nego, restavo un po’ mortificato; ma tutt’ad un tratto scappava fuori l’amico con un’altra strofa, e allora addio serietà, e più matto di prima.
Codesta era la commedia pubblica, seguiva poi la privata. Veniva a trovarmi il nipotino più grande del vecchio soldato, ed io: — Animo, in riga! — e pigliavo pel braccio mia madre, e mia sorella, e il bambino, e volere o non volere li mettevo in riga, e ce li facevo stare, e se mia madre rideva le battevo una mano sulla spalla e le dicevo: — Ferma, cara signora, e dritta, e seria, se no noi chiuderemo le porte e vi declameremo cinquanta ottave con tutta la forza dei nostri polmoni, e voi sapete che ce li avete fatti robusti. — No! no! per pietà! — essa rispondeva. — Dunque silenzio! — gridavo io. — E bisogna starci! — mormorava ella ridendo di nuovo e rivolgendosi a mia sorella, ed era tanto caro, tanto gentile quel suo riso! — Attenti! Marche! — Il grido era così tonante che i miei soldatini si disordinavano e se la battevano chi di qua chi di là turandosi le orecchie; e io dietro, e uno per uno li riconducevo al posto, e li lasciavo poi liberi a patto che gridassero tutti insieme: — Viva la guerra! — Ma mia madre mi diceva: