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partenza e ritorno. 373

una vedova sui quarant’anni, elegante, languida, magra, bruttina, furiosa divoratrice di romanzi, solita ad affacciarsi alla finestra ogni volta che c’ero io, e a darmi certe occhiate lunghe e stanche, stringendo la bocca e piegando malinconicamente da un lato la testa finto-ricciuta. Alla finestra accanto alla sua stava pel solito la sua cuoca affetta d’incipiente passione per la mia ordinanza (bel giovinetto, tra parentesi); un faccione tondo, porporino, gonfio che parea che soffiasse; due gran labbra, due grand’occhi, due gran spalle, e qualche ardita curva qua e là, che dava nell’occhio fino alle ultime lontananze della casa. Al terzo piano, sopra la ninfa languida, ci stava uno studente d’Università, giovanissimo, buon figliuolo, smanioso della guerra, già iscritto nel ruolo dei volontari, un capo ameno dei più curiosi e più cari. In qualunque ora del giorno, a un mio batter di mani, balzava d’un salto sul terrazzino colle braccia e il viso in aria a guisa di poeta improvvisatore, e m’interrogava e mi rispondeva in versi, e intavolava discorsi di alta politica, di alta guerra, di alta filosofia, di alta letteratura (stava al terzo piano), declamando, gesticolando, canterellando, ch’era una festa a sentirlo. Al suono della sua voce tutto il vicinato si faceva alle finestre.

— «O risorta per voi la vedremo....» — gridava tendendo un braccio verso di me, e battendo la cadenza coll’altra mano sulla ringhiera del terrazzino. Ed io a lui: — «Al convito dei popoli assisa....» — E lui: — «O più serva (la serva volgeva gli occhi in su), più vil, più derisa....» — Ed io: — «Sotto l’orrida verga starà. «E lui: — Sotto l’or.... — Ed io: — Rida ver.... — E lui: — Ga starà. — E poi tutt’e due assieme: — Ga starà! ga starà! ga starà! —

Grande ilarità a tutti i piani. — Così mi piace la