seggiola e pestando i piedi, e poi li buttavo tutti all’aria
ad un tratto. — Non bastano! gridavo; non bastano i libri!
I libri non dicono quel che mi bolle qui dentro! — Aprivo
un giornale; in que’ giorni i giornali eran di fuoco; — davo
un’occhiata al solito articolone entusiastico, e
stracciavo il foglio in cento pezzi. — Ma questo è fiacco,
Dio mio! questo è freddo! — E preso da un estro improvviso,
sedevo a tavolino e mi mettevo a scrivere
in furia. — Lo scriverò io un articolo! — dicevo; e
subito dopo gettavo via carta, penna e calamaio e sclamavo: — Tutto
freddo! È una disperazione! Ma di’ tu,
mamma, in nome del cielo, ma che in tutta la letteratura
italiana non ci siano dei versi che mi esprimano
questa febbre che mi divora? — Berchet! — ella mi
suggeriva timidamente. — No, no, Berchet, — io le
rispondevo con accento drammaticamente soave; — Berchet
è irato, Berchet odia, Berchet maledice, ed io
amo in questi momenti, amo immensamente, amo tutti,
mi sento fratello di tutti, getterei le braccia al collo a
tutti quelli che incontro per la strada. Amo anche gli
Austriaci, sissignora! Tirerò a freddarne molti; ma li
amo, perchè gli è grazie a loro che l’Italia si riscuote
così, e solleva la testa, e si rivela così potente e bella e
cara, e diffonde in tutti i suoi figli questo sentimento
ineffabile di orgoglio e di gioia! Morte agli Austriaci,
ma viva anche loro! Non mi son mai sentito tanto cristiano! — Poi
mi slanciavo alla finestra e mi stizzivo
del silenzio che regnava nella strada. — Ma guardate
che tranquillità vergognosa! Ma è possibile? Ma perchè
non scendon tutti giù a fare strepito? Ma che gente
sono costoro?... Oh! domiamo questa febbre. — E chiusomi
in camera e dato di mano alla sciabola, supponevo
d’aver a fronte un ufficiale austriaco di que’ lunghi,
magri, con un par di baffoni irsuti e d’occhioni stra-