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370 partenza e ritorno.

tinuo, ci dava un’energia, una vitalità insolita e vigorosa, che traspariva dagli accenti, dagli sguardi, dagli atti, dai passi. Che giovialità, che affettuosa armonia tra gli amici! Come tutti i nostri pensieri eran più alti, più puri, e tutti i nostri affetti più forti! La primavera non rideva soltanto nei fiori, non si sentiva soltanto nell’aria e nel sangue; rideva nell’anime, si sentiva nei cuori; era come il soffio di una vita vergine che ci aveva penetrati. Che giorni! O patria! se potessimo sentirti sempre così!

III.

Fin dai primi giorni che si parlava della probabilità della guerra, mi s’era cominciato a far nella testa un po’ di confusione; la quale crebbe poi a mano a mano che la probabilità si venne mutando in certezza. Confusione, dico, e non saprei dir altro: pensavo, parlavo e operavo come per l’effetto d’un liquore inebriante. Dapprima agitazione, poi irrequietezza, poi febbre addirittura; ondate di sangue infuocato alla testa, gran prurito di menar le mani, grande smania di moto, d’aria, di luce, di musica e di versi, e assoluta impossibilità di fissare la mente in un qualunque pensiero. Neanco nel pensiero della guerra; però che il rappresentarmene coll’immaginazione gli avvenimenti, per quanto meravigliosi e terribili, gli era pure un togliere qualcosa a quell’idea d’un avvenire indeterminato, avventuroso, che m’infondeva tanta allegrezza e tanta pienezza di vita.

Entrato io in casa, non c’era più quiete. Tiravo giù dallo scaffale una dozzina di libri, ne scorrevo una pagina per ciascuno, sbuffando e contorcendomi sulla