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una medaglia. 359

e afferrata coll’altra una spazzola, si mise a lustrare di tutta forza mormorando: — Sei un vero galantuomo; meriti un premio; domattina i tuoi stivali saranno i più lucidi stivali del reggimento.

L’indomani mattina, intorno alle otto, l’ordinanza, appostata all’angolo di una via che sbocca nella piazza principale della città, vide venire innanzi lentamente una vecchia contadina, vestita in gala, con due grandi buccole alle orecchie, un bel vezzo di corallo intorno al collo e la gonnella screziata di tutti i colori dell’iride; veniva innanzi guardando intorno con una cera tra l’allegro, l’attonito e il curioso. La osservò attentamente e le si avvicinò.

— Buona donna!

— Oh! siete voi quel soldato?

— Io.

— Oh grazie, grazie di cuore. E il mio figliuolo? Non è qui? Dov’è? Perchè non è venuto ad aspettarmi? Non glie l’hanno detto che venivo? Ditemi subito dov’è, mio buon giovane; conducetemi subito da lui.

— Eh, un momento; ci vuole un po’ di pazienza, subito subito non lo potrete vedere. Bisogna aspettare una mezz’oretta. Bisogna star qui a vedere una certa parata che deve fare il reggimento. Si tratta di dare la medaglia del valor militare a un mio compagno; è un affare di pochi minuti; ci vuole un po’ di pazienza.

— Ancora mezz’ora! Oh Dio mio! E come faccio io ad aspettare una mezz’ora?

— Lo capisco, buona donna, lo capisco; per voi una mezz’ora è un mezzo secolo; ma non si può fare altrimenti; bisogna aspettare. Faremo due chiacchiere; il tempo passerà presto.

— O Dio buono! mezz’ora! Ma.... ditemi, ditemi; devono venir qui, qui in questa piazza, i soldati?

— Sicuro.