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356 una medaglia.


Giunse ad Acquasanta sul cadere del sole. Prima di entrare si sbottonò la tunica per nascondere il numero dei bottoni e ripiegò all’insù la tesa del berretto. Entrò. All’udire lo scalpitìo del cavallo qualcuno delle prime case si fece sull’uscio; altri s’affacciarono alle finestre; i ragazzi accorsero nella via. Il capitano guardò incerto a destra e a sinistra, e poi si diresse verso una porta dov’era un crocchietto di donne, le quali, al suo apparire, si schierarono timidamente contro il muro e lo guardarono attonite.

— Chi mi dà un bicchier d’acqua, buone donne? — disse il capitano fermando il cavallo e affettando un’aria sbadata.

— Io — rispose vivamente una delle donne, e disparve. — È lei! pensò il capitano, non può esser altra che lei. —

La donna tornò di lì a un minuto con un bicchier d’acqua, e lo porse al capitano. Questi la guardò attentamente e si pose a bere a lenti sorsi; quella, intanto, lo squadrava da capo a piedi, piegava la testa a destra e a sinistra e si alzava sulla punta dei piedi per vedere di scoprire il numero del reggimento, e si stropicciava le mani, e dondolava la persona, e non istava ferma un momento, e dallo sguardo intento e vivo e dai rapidi moti della bocca lasciava trasparire una contentezza timida e ansiosa, un desiderio intenso e irrequieto, che non sapeva risolversi a palesare. Il capitano la osservava.

— C’è nessuna di queste donne che abbia dei figliuoli soldati? — domandò poi restituendo il bicchiere e simulando, come prima, una indifferenza distratta.

— Io! — rispose risoluta la donna che gli aveva porto il bicchiere. — Ne ho uno! — e fece cenno col pollice e restò in atto d’aspettare, immobile come una statua.