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una medaglia. | 351 |
malvagio proposito di farlo uscire fuori dei gangheri, e di perderlo. E non era vero. Il capitano era un galantuomo; astio non aveva contro di lui più di quanto ne avesse contro gli altri; amava i suoi soldati; era incapace di un sentimento d’avversione cieca ed ingiusta, e abborriva profondamente dalle prepotenze e dalle persecuzioni meditate. Solamente non aveva ben compresa l’indole di questo suo soldato. A vederlo sempre così fosco e bieco, lo aveva giudicato di natura caparbia, indocile, rivoltosa, cattiva, e lo voleva domare; ed egli era domabile; ma coi mezzi della persuasione e dell’amorevolezza; colle vociaccie e colla prigione, no; era peggio.
Un giorno il nostro soldato stava parlando con una ragazza sull’angolo d’una via; passò il capitano; egli non lo vide. Quegli credette che avesse finto di non vederlo per non salutarlo, e gli fece una lavata di capo in presenza della ragazza e di molt’altra gente che era là attorno. Il poveretto n’ebbe tanta vergogna che, appena andato via il capitano, disparve anch’esso di là e non vi si fece vedere mai più. Ma il rancore contro il capitano gli s’accrebbe a cento doppi; divenne odio, quasi; lo rodeva di continuo; non gli lasciava un istante di pace; gli avvelenava la vita. Nè per quanto ei si sforzasse, poteva riuscir mai a dissimularlo. Il capitano rimbrottava un soldato, ed egli tossiva e stropicciava i piedi sul terreno; il capitano si volgeva sdegnoso, ed egli, pronto, alzava la faccia in su a guardare le nuvole. In marcia, se un soldato stava attento quando il capitano cercasse da bere e gli porgeva la borraccia, egli sogghignava e, tratto in disparte quel soldato, gli mormorava nell’orecchio: Imbecille! Quando il capitano lo rimproverava, egli faceva mostra di non intendere, stralunando gli occhi come un insensato e tentennando la testa, o mandava dagli occhi socchiusi un lampo di riso maligno, tor-