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340 l’esercito italiano

sati, e non diede più altro segno d’intendimento. Il generale guardò ansiosamente il dottore. — Non ancora — questi rispose. E andarono oltre.

In uno dei letti vicini c’era un caporale che morì il giorno dopo.

Era in sè; ma profondamente scoraggiato. Avea la pelle del viso tutta raggrinzita, sparsa di macchie livide e luccicante d’un sudore viscoso. Visto il generale, si mise a guardarlo ora socchiudendo ora dilatando gli occhi e mettendo un lamento affannoso.

— Come ti senti? — il generale gli disse. Quegli scosse lievemente la testa e voltò gli occhi in su in atto sconsolato.

— Coraggio, figliuolo; non bisogna perdersi d’animo; bisogna pensare a guarire. —

Il malato, facendo molto sforzo, mormorò: — A me non mi rincresce... di morire.

— Morire! che dici mai! Tu non devi disperare, caro mio; tu guarirai; il medico mi ha detto che guarirai; non è vero, dottore, che guarirà? —

Il soldato diede uno sguardo sfuggevole al dottore, e fece un atto del capo come per dire di no, poi guardò fiso il Medici e disse con voce spenta: — Grazie, generale. —

Questi chinò la testa, stette pensando un istante e poi passò a un altro letto.

V’era un soldato in via di guarigione, che non voleva pigliare una certa medicina.

— Perchè non la vuoi pigliare? — gli domandò il generale.

— .... Fa male, — questi rispose timidamente.

— No che non fa male, mio caro; vuoi vedere che la piglio io? — E presa un’ampolla che gli diede il dottore, ne bevve un sorso, e la porse al soldato che stava guardandolo in aria di maraviglia. — Animo, bevi. —