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durante il colèra del 1867. | 339 |
sciò il paese mutato. Operoso, provvido e caritatevole sempre; ma negli ospedali, al capezzale degl’infermi, d’un cuore divino. Nei due ospedali militari di Palermo, Sesta Casa e Sant’Agata, ei vi si recava ogni settimana e li visitava diligentemente in ogni parte, interrogando tutti, esaminando tutto, consigliando e incoraggiando medici, infermieri e malati colla sollecitudine d’un padre. Memorabile la visita del quindici agosto nel più forte infuriar del colèra. Andò all’ospedale con parecchi ufficiali del suo stato maggiore. Vi era aspettato dai medici radunati sulla soglia del primo camerone. Al suo apparire, gl’infermieri si disposero in ordine lungo le due file dei letti; alcuni de’ malati, la maggior parte gravissimi, volsero la testa verso la porta. Il generale s’avvicinò al primo letto; tutti gli altri in semicircolo dietro a lui; al suo fianco il medico direttore. Il malato era grave; aveva il viso cadaverico, gli occhi infossati e iniettati di sangue, le labbra nere, e il respiro affannoso e interrotto da profondi singulti. Non era bene in sè. All’avvicinarsi di tutta quella gente alzò gli occhi in volto al generale e ve li tenne fissi e immobili senza espressione. Il dottore gli si avvicinò e gli domandò, indicandogli il Medici: — Conosci questo signore?
Il soldato guardò il dottore senza fare alcun segno.
— Lo conosci? — questi ripetè.
Allora parve capir la domanda. Il dottore disse forte:
— È il generale Medici.
— Medici.... Medici..., — mormorò confusamente il malato; lo guardò, mosse le labbra come per sorridere o per dire una parola, chinò un po’ la testa come per accennare di sì, poi l’assalse un violento singhiozzo, i suoi occhi ritornarono immobili e insen-