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durante il colèra del 1867. |
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sarebbero stati tutti sbranati. Il povero padre, preso da
un impeto di disperazione, trasse un colpo di pistola
nella strada. Fu il segnale dell’assalto. La moltitudine,
mettendo un lungo urlo di selvaggio furore, si precipitò
colle scuri sulle porte e cominciò a lanciare una
grandine di palle e di sassi contro le finestre. I soldati,
dal di dentro, si difesero a fucilate. La lotta durò più
d’un’ora. Finalmente, visti riuscir vani i suoi sforzi, il
popolo appiccò il fuoco alla caserma. Orribile scena!
Già le fiamme avviluppavano tutta la casa e, screpolati i
muri, guizzavano qua e là nell’interno delle stanze, e
l’aria s’infocava e le travi del tetto crepitavano; di fuori
sibili e grida feroci di gioia; di dentro strida disperate
di donne e di fanciulli; sette soldati e Lo Schiavo stesi
a terra nel sangue.... In quegli estremi, il caporale Albani
decise di tentar quell’unica via di salvezza che
rimaneva; riunì in uno stretto gruppo le tre famiglie;
ordinò ai suoi pochi soldati di pigliare in spalla i feriti,
e primo lui e gli altri subito dietro, aperta in furia una
porta e abbassate le baionette, si precipitarono a capo
basso nella folla. Questa, sopraffatta da quell’incredibile
audacia, cedette il passo; ma appena furon passati,
esplose i fucili e colpì a morte parecchi della famiglia
sventurata; gli altri si salvarono, parte nelle case, parte
nella campagna; i soldati non furono raggiunti. Due
giorni dopo arrivavano in Ardore tre compagnie di fanteria
da Gerace, da Monteleone e da Reggio, e vi ristabilivano
la quiete. Il capitano Onesti, del corpo di stato
maggiore, che resse per qualche tempo l’amministrazione
comunale, il maggiore Gastaldini che comandava
le forze militari di Ardore e delle vicinanze, e il Broglia,
medico di battaglione, si condussero in tal modo
che per verità io non so con che parole e’ si potrebbero
degnamente lodare. Non parlo dei soldati, che là come