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durante il colèra del 1867. 337

sarebbero stati tutti sbranati. Il povero padre, preso da un impeto di disperazione, trasse un colpo di pistola nella strada. Fu il segnale dell’assalto. La moltitudine, mettendo un lungo urlo di selvaggio furore, si precipitò colle scuri sulle porte e cominciò a lanciare una grandine di palle e di sassi contro le finestre. I soldati, dal di dentro, si difesero a fucilate. La lotta durò più d’un’ora. Finalmente, visti riuscir vani i suoi sforzi, il popolo appiccò il fuoco alla caserma. Orribile scena! Già le fiamme avviluppavano tutta la casa e, screpolati i muri, guizzavano qua e là nell’interno delle stanze, e l’aria s’infocava e le travi del tetto crepitavano; di fuori sibili e grida feroci di gioia; di dentro strida disperate di donne e di fanciulli; sette soldati e Lo Schiavo stesi a terra nel sangue.... In quegli estremi, il caporale Albani decise di tentar quell’unica via di salvezza che rimaneva; riunì in uno stretto gruppo le tre famiglie; ordinò ai suoi pochi soldati di pigliare in spalla i feriti, e primo lui e gli altri subito dietro, aperta in furia una porta e abbassate le baionette, si precipitarono a capo basso nella folla. Questa, sopraffatta da quell’incredibile audacia, cedette il passo; ma appena furon passati, esplose i fucili e colpì a morte parecchi della famiglia sventurata; gli altri si salvarono, parte nelle case, parte nella campagna; i soldati non furono raggiunti. Due giorni dopo arrivavano in Ardore tre compagnie di fanteria da Gerace, da Monteleone e da Reggio, e vi ristabilivano la quiete. Il capitano Onesti, del corpo di stato maggiore, che resse per qualche tempo l’amministrazione comunale, il maggiore Gastaldini che comandava le forze militari di Ardore e delle vicinanze, e il Broglia, medico di battaglione, si condussero in tal modo che per verità io non so con che parole e’ si potrebbero

degnamente lodare. Non parlo dei soldati, che là come


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