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332 | l’esercito italiano |
troni, o ve le cacceremo nelle reni! — Voi volete farci morire! i contadini gridavano. — Moriremo tutti! — rispondevano fieramente i soldati; ma bisogna entrare! — E con un estremo sforzo li spinsero dentro tutti e venti. Qui cominciò un orribile lavoro. I cadaveri si trovavano in uno stato di completo sfacimento, eran tutti un flosciume senza forma da non potersi nemmeno sollevare da terra. Bisognò rompere le panche della chiesa, ficcare due assicelle sotto ogni morto, e afferrandole per le estremità, alzare così il fetido peso, colle braccia tese e la faccia rivolta da un lato, chè l’aspetto di que’ corpi era tale da non potervi fermare lo sguardo. Ad ogni crollo ch’e’ ricevessero, colava dalle orecchie e dalle bocche e si spandeva per quei visi un verde marciume, e le nere carni delle braccia e delle gambe spenzolanti pareva si volessero staccare dall’ossa e dissolversi. Il Cangiano mandò quattro soldati a raccoglier legname nelle poche case abbandonate ch’eran là presso. Questi, non trovandovi altro, presero tavole, seggiole, imposte, tutto quanto si potesse bruciare, e ammonticchiarono ogni cosa nel mezzo d’un campo poco lungi dalla chiesa. I cadaveri furono uno ad uno portati fuori e rovesciati su quel mucchio. Vi si appiccò il fuoco ed ogni cosa bruciò. In Campofranco non restava più un cadavere. Tra sepolti e bruciati se n’eran levati di mezzo più di sessanta. —
Viste guizzare le prime fiamme, il Cangiano tornò nel centro del paese, ove riprese e proseguì infaticabilmente la santa opera di prima, finchè giunse da Caltanissetta un capitano della piazza con buona provvigione di alimenti, di medicine e di danaro, e con questi ripercorse, casa per casa, tutto Campofranco, beneficando i poveri, soccorrendo gl’infermi, rassicurando i paurosi, rimettendo in tutti gli animi un po’ di speranza e di pace. In breve tempo rientrarono tutti i fuggiaschi,