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durante il colèra del 1867. | 331 |
quello che abbiamo. Ma intanto bisogna lavorare, bisogna portar via i morti, curare i malati, aiutarsi fra tutti. — Allora la gente ringraziava, poi ricominciava a pregare, a lamentarsi, a chieder pane.
Ad un tratto, arrivò correndo un soldato e parlò nell’orecchio al Cangiano. Un’assai dura prova di carità e di fortezza restava a farsi! Il Cangiano avvisò saggiamente che si dovesse far ogni cosa di nascosto alla popolazione, ordinò ai presenti d’andar ad aspettare i soccorsi sulla strada che mena a Caltanissetta, chiamò quindici soldati co’ fucili, fece venire innanzi venti contadini colle zappe, e s’avviò con essi verso un’estremità del villaggio. Ivi era una piccola chiesa abbandonata. Si fermarono dinanzi alla porta, la tentarono; era chiusa. L’atterrarono e fecero tutti insieme un passo addietro levando un grido di ribrezzo. In mezzo a quella chiesa, poco più ampia d’una sala ordinaria, c’era un mucchio di venti cadaveri imputriditi. — Avanti! — gridò l’ufficiale. I soldati si gettaron dentro alla chiesa; i contadini dettero indietro. — Avanti! — gridò un’altra volta il Cangiano. Non si mossero. Ei fece un passo avanti, essi si diedero alla fuga, i soldati si slanciarono loro alle spalle, e li ebbero in un momento raggiunti e afferrati. — Trascinatemi qui codesti poltroni! — gridava di sulla porta della chiesa il Cangiano. I soldati li ricondussero a gran stento traendoli per le braccia, cacciandoli innanzi a spintoni, minacciandoli colle armi. Ma al momento di entrare, quelli presero a resistere con maggior forza, puntando i piedi come cavalli restii, dibattendosi e urlando disperatamente, quasi li volessero trarre al supplizio. — Fuori le baionette! — gridò sdegnosamente l’ufficiale afferrandone uno per la vita e buttandolo in mezzo alla chiesa; i soldati snudaron le baionette e le alzarono in atto di ferire. — Avanti, pol-