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durante il colèra del 1867. | 329 |
Intanto il Cangiano, seguìto da un soldato, andava in cerca d’una casa adatta all’uso di ospedale, fermando quanta gente del paese incontrava per via, consigliandoli, esortandoli, pregandoli, e nel passare sollecitava i soldati, dava ordini e suggerimenti, porgeva conforti di affettuose parole. Trovò la casa, la fece sgombrare, vi fece portar dentro i letti dalle case abbandonate, andò egli stesso con quattro soldati a battere alla porta di tutti gli abituri, a domandare che gli lasciassero portar via gli infermi, ch’egli li avrebbe fatti assistere, curare, e le loro famiglie sarebbero state soccorse. Rispondevano di no; egli offriva del denaro, pregava, minacciava; tutto era inutile. Allora i soldati entravano a forza nelle case; due di essi s’impossessavano dell’infermo, gli altri due tenevano indietro colle armi i parenti e i vicini. Spesso bisognava levar di peso di sulle soglie delle case le donne che ne chiudevan l’accesso co’ propri corpi; bisognava lottare con esse, ributtarle malamente, trascinarle.
Dopo lunga fatica, un buon numero d’infermi eran già allogati nel nuovo ospedale e due o tre soldati provvedevano ai loro bisogni aspettando l’arrivo dei soccorsi da Caltanissetta, quando tornò in paese l’altra metà del pelottone traendo seco di viva forza una frotta di contadini che aveva arrestati per la campagna. Corse loro incontro il Cangiano, li scompartì in vari gruppi, e li fece accompagnare ai vari lavori. I soldati novamente giunti presero a lavorare anch’essi; in poco tempo i cadaveri ch’eran per le strade furono sepolti; le strade sgombre e ripulite; si continuò ad andare in volta a prendere gl’infermi, e a poco a poco, ora colla persuasione, ora colla forza, si riuscì a radunarne nell’ospedale la massima parte; da ogni lato era un continuo andirivieni, un chiamarsi, un affaccendarsi continuo di soldati. Il popolo,