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l’ufficiale di picchetto. 25

sopra il suo capo; levò gli occhi in su alle finestre. Dall’un de’ davanzali spunta e si muove incertamente una cosa nera, si allunga, discende lenta lenta, arriva a terra; è una corda. Dopo averla accompagnata cogli occhi fino a terra, li rialza alla finestra; vede sporgere una testa, due spalle, tutta una persona, girare guardinga sopra sè stessa, afferrare la fune, discendere, sparire. Dietro subito, di corsa. Già gli è vicino, già lo raggiunge, già stende le mani a ghermirlo pei panni...

In quel punto gli si para davanti una porta; la porta della cantina. La tenta leggermente colla mano; essa cede. Uh! che baccano! Un acciottolio di piatti, un tintinnio di bicchieri, un urlìo di voci rauche e dissonanti, un sonar confuso di bestemmie e di canti e un puzzo di fumo di pipa che lo respinge indietro. Si fermò un istante; spinse un’altra volta la porta, e si spalancò. Quale spettacolo! La stanza piena zeppa di soldati; chi vestito, chi in farsetto, chi col cappotto sulle spalle a mo’ di mantellina spagnola e il berretto indietro alla bravaccia; chi seduto sulle tavole, chi a cavalcioni, chi lungo disteso sulle panche, chi sdraiato sconciamente sul pavimento; gli occhi lustri, vitrei, istupiditi; le faccie accese; altri brillo, altri briaco affatto; altri sonnacchioso, altri dormente sonno profondo; qualcuno tentava di rizzarsi in piedi e ricadeva pesantemente sopra la panca; qualche altro, riuscito a levarsi su, barcollava per la stanza urtando e facendo tentennare le tavole e tremar sonoramente i bicchieri e le bottiglie; in ogni parte un gran moto di carte e di quattrini, e un trinciar l’aria colle mani a modo di scongiuri cabalistici, e grida e risate, e tutto avvolto in un denso nuvolo di fumo da restarne soffocati in dieci minuti. — Fuori! fuori! — pareva di gridare al povero sognatore; — sergente! sergente! mi noti il nome di tutti, tutti dentro, tutti ai ferri, tutti...