giorno che il colèra aveva incrudelito oltre il consueta
in quel paese, alcune frotte di pezzenti armati di zappe
e di bastoni andavano in volta pel paese, levando alte
grida di minaccia, fieramente risolute a farla finita cogli
avvelenatori. Una di queste frotte incontrò il merciaiuolo,
lo pigliò in mezzo senza ch’egli se n’avvedesse,
gli si strinse ai panni e lo interrogò. — Quanti
ne hai spacciati quest’oggi? — Lo sventurato comprese
e credette di salvarsi con uno scherzo — Dieci! — rispose,
e non rise. — Bastò. Uno della folla gli diede
un gran calcio nella cassettina delle spille e delle cravatte
che portava appesa al collo, e gli mandò in aria
ogni cosa, dicendogli: — Questo, per ora. Adesso mostraci
con che cosa assassini la gente. — Io? — quegli
rispose per sua sventura, non riuscendo a frenare un
impeto d’indignazione. — Siete voi che mi assassinate! — Ah
siamo noi! — proruppe la folla furente. E nello
stesso punto un pugno vigoroso nel mento gli empiva di
sangue la bocca, una mano lo serrava alla strozza,
un’altra gli si avvolgeva nei capelli, su tutta la persona
gli cadeva una tempesta di pugni e di calci, ed era
sbattuto così violentemente contro il muro che la nuca
vi lasciava sopra una impronta di sangue. — Confessa i
complici, assassino! — gli gridavano i primi conficcandogli
profondamente le unghie nelle guancie e nel collo e
premendogli le ginocchia e i bastoni contro il ventre — confessa! — E
quei ch’eran dietro tendevan le braccia per
afferrarlo, si buttavano di qua e di là per aprirsi un
varco nella folla e giungere fino a lui e aprirgli anch’essi
una ferita. L’infelice grondava sangue dalla bocca e
dalle orecchie, gli occhi pareva gli volessero schizzar
dalla fronte, un rantolo mortale gli erompeva dal petto;
metteva orrore. — Confessa! Confessa! — Tutto ad un
tratto dall’altro lato della strada scoppiò un altissimo