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316 | l’esercito italiano |
meno d’un minuto la strada fu piena di gente armata di bastoni, di scuri e di coltelli; la porta fu rovesciata, la folla si precipitò nella casa. Quand’ecco si schiude rapidamente una delle finestre del primo piano; un uomo in maniche di camicia balza in piedi sul davanzale, manda un altissimo grido, salta giù nella strada, cade, si rialza, — c’è un soldato che avvelena! — urla atterrito alla gente che gli si affolla intorno, fende la calca, divora la strada, scompare. Era il soldato istesso entrato poco prima nella casa per dare a una lavandaia un involto di biancheria del suo furiere.
Pochi giorni dopo accadde qualcosa di simile a un’ordinanza, mentre dalla trattoria portava il pranzo al suo ufficiale ch’era malato in casa. Da una mano teneva una boccetta dello speziale, e dall’altra i quattro capi d’un tovagliolo con dei piatti. Attraversava una viuzza abitata da poveri. Tutti l’osservavano attentamente; qualcuno, a una certa distanza, lo seguiva; quattro o cinque donne lo fermarono e gli chiesero fieramente che cosa ci fosse in quei piatti. Ebbe la mala ispirazione di rispondere un’impertinenza. In men che non è detto, i piatti, la boccetta, il tovagliolo furono sotto i piedi d’una folla di gente sbucata come per incanto da tutti i bugigattoli delle case d’intorno. Il povero soldato appena ebbe il tempo di aprirsi la via colla baionetta alla mano, e dovette ringraziare il cielo d’esserne uscito con una graffiatura nel viso e un colpo di pietra nella schiena.
Un’altra volta, passando tre soldati dinanzi a un gruppo di case fuori della città, uno di essi si fermò a guardare un fanciullo che scavava colle mani una fossetta, gli disse: — Bel bimbo, — si chinò e gli fece una carezza. Una donna poco lontana di là vide quell’atto, si slanciò alla porta d’una di quelle case e gridò con quanta