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durante il colèra del 1867. 315

ammorbavano l’aria; non si voleva lasciarli passare; si sbarrava loro la strada. Per portare il rancio ai loro compagni di guardia bisognava che i soldati facessero un lungo giro attorno a certi quartieri; guai a passarvi in mezzo; la vista delle marmitte metteva in sospetto la gente; in men d’un istante, si radunava la folla, si arrestavano i soldati, si voleva vedere che cosa portavano, si obbligavano i portatori ad assaggiare in presenza di tutti quel brodo, a lasciarne una parte per provarlo e analizzarlo poi. Un indizio, per quanto lieve, un’asserzione, per quanto assurda, una parola, un gesto qualunque d’uno della folla bastava a mutare il sospetto in certezza, la certezza in furore. Non c’era tempo e modo di consumar un delitto poichè i furori della plebe, sempre preveduti, erano sventati sempre da un soccorso preparato e sollecito; ma la violenza non s’era sempre in tempo a impedirla, nè tanto potevano andar cauti i soldati da riuscire ad evitarla ogni volta, o a non provocarla mai. — Un giorno, in una via disusata, alcune donne del volgo videro un soldato con un involto sotto il braccio entrare a passi frettolosi in una casa, dove, poco prima, una fanciulla era stata colpita dal colèra. Cominciarono a fantasticare fra loro sul perchè quel soldato fosse entrato in quella porta. — Avete notato che cosa aveva sotto il braccio? — Avete osservato come aveva la faccia torva, e come si guardava attorno con sospetto? — Tutte gli avevano veduto qualcosa di strano e di malaugurato. Andarono verso quella casa e si fermarono davanti alla porta. Era chiusa; i sospetti s’accrebbero. Picchiarono; nessuno venne ad aprire. Chiamarono ad alta voce quei di dentro; nessuno rispose. Non c’era più dubbio; in quella casa si stava consumando un delitto. Levarono alte grida, percossero furiosamente la porta, lanciaron sassi nelle finestre; in