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durante il colèra del 1867. |
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ammorbavano l’aria; non si voleva lasciarli passare; si
sbarrava loro la strada. Per portare il rancio ai loro
compagni di guardia bisognava che i soldati facessero
un lungo giro attorno a certi quartieri; guai a passarvi
in mezzo; la vista delle marmitte metteva in sospetto la
gente; in men d’un istante, si radunava la folla, si arrestavano
i soldati, si voleva vedere che cosa portavano,
si obbligavano i portatori ad assaggiare in presenza di
tutti quel brodo, a lasciarne una parte per provarlo e
analizzarlo poi. Un indizio, per quanto lieve, un’asserzione,
per quanto assurda, una parola, un gesto qualunque
d’uno della folla bastava a mutare il sospetto in
certezza, la certezza in furore. Non c’era tempo e modo
di consumar un delitto poichè i furori della plebe, sempre
preveduti, erano sventati sempre da un soccorso
preparato e sollecito; ma la violenza non s’era sempre
in tempo a impedirla, nè tanto potevano andar cauti i
soldati da riuscire ad evitarla ogni volta, o a non provocarla
mai. — Un giorno, in una via disusata, alcune
donne del volgo videro un soldato con un involto sotto
il braccio entrare a passi frettolosi in una casa, dove,
poco prima, una fanciulla era stata colpita dal colèra.
Cominciarono a fantasticare fra loro sul perchè quel
soldato fosse entrato in quella porta. — Avete notato che
cosa aveva sotto il braccio? — Avete osservato come
aveva la faccia torva, e come si guardava attorno con
sospetto? — Tutte gli avevano veduto qualcosa di strano
e di malaugurato. Andarono verso quella casa e si fermarono
davanti alla porta. Era chiusa; i sospetti s’accrebbero.
Picchiarono; nessuno venne ad aprire. Chiamarono
ad alta voce quei di dentro; nessuno rispose.
Non c’era più dubbio; in quella casa si stava consumando
un delitto. Levarono alte grida, percossero
furiosamente la porta, lanciaron sassi nelle finestre; in