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durante il colèra del 1867. 313

tutto immischiarsi, non chiamati, non costretti, sotto colore di esercitare una carità, che non si poteva credere sentita da gente, com’eran essi, pagata dal governo, sostenitrice del governo, e però necessariamente nemica del popolo. Quella carità non poteva essere che una maschera; quelle opere di beneficenza non potevano essere che un pretesto, un mezzo di un secondo fine; non si poteva spiegare perchè il soldato, istrumento d’un governo nemico, stendesse una mano pietosa al povero e all’infermo, se non con questo ch’ei gli preparasse la morte coll’altra. In conseguenza di questa convinzione e di questa paura è facile immaginare come il volgo si portasse coi soldati.

Una delle città in cui più generalmente si dette fede al veneficio, fu Catania, ov’era di presidio il 9º reggimento di fanteria. Varrà il suo esempio per tutti gli altri paesi.

I soldati, nell’ore libere, non andavano mai soli per la città; sempre a tre a tre, a quattro a quattro, o a brigatelle anche maggiori, per esser sicuri dalle violenze, e imporre ritegno a chi avesse in animo di insultarli o di far loro del male a tradimento. Andavano quasi sempre per le vie principali, e non molto lontano dalla caserma; qualche volta, e solamente in caso di necessità, per le vie rimote; fuori di città mai, chè certo vi sarebbero stati provocati o aggrediti. Ma dovunque essi andassero, o in pochi o in molti che fossero, eran guardati bieco da tutti. Se nella via c’era un crocchio, quelli che davan loro le spalle si voltavano prontamente indietro, tutti si ritraevano d’un passo, e si susurravano qualcosa nell’orecchio. — Eccoli qui — diceva forte qualcuno. E qualcun altro: — Badatevi. — I soldati passavano, e il crocchio si ricomponeva. Molti, vedendoli da lontano venir verso di loro giù per la via, scan-