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durante il colèra del 1867. 311

denari ve li siete meritati, avete faticato, avete sofferto, avete fatto del bene, è troppo giusto che vi si dia questo po’ di compenso. Consigliarvi a privarvene sarebbe un’indiscretezza, ed io me ne guardo. Anzi vi dico schiettamente che se l’accettate fate bene. Animo, siate franchi; se c’è qualcuno fra voi che abbia bisogno della sua parte di denaro me lo dica senza timore e senza vergogna come lo direbbe a un amico; io non istimerò meno chi accetta di chi rifiuta; voglio che chi ha bisogno di denaro lo dica. Animo, c’è nessuno? —

La compagnia commossa dallo schietto e affettuoso linguaggio del capitano rispose ad una sola voce:

— Nessuno!

— Nemmen’uno? — e tenne d’occhio tutti i volti.

— Nessuno! — ripeterono tutti, e l’accento del grido e l’espressione degli occhi affermavano la spontaneità di quell’atto.

— Bravi! — esclamò vivamente il capitano. — Domattina andrò al municipio e dirò a quei signori che la 9a compagnia del 57º reggimento offre cento lire di elemosina ai poveri di Licata.

Uscì, e quando fu nella via sentì i canti e le grida allegre dei soldati che, terminato l’appello, avevan rotte le righe, e si disponevano ad andare a dormire. Alzò gli occhi in su alle finestre illuminate della Caserma e gli venne detto forte, proprio come se parlasse a qualcuno: — Che buoni figliuoli! —

E quel che han fatto a Licata han fatto in Aosta, a Scansano, a Genova, e in molti altri luoghi, che non giova citare per non riempir le pagine di nomi. Ma non posso tacere di te, o bravo Zamela, zappatore del genio, che avendo saputo le sventure ond’era afflitta la tua povera Messina, mandasti trenta lire al sindaco scrivendogli: «Me le han date perchè ho assistito colerosi del