Pagina:De Amicis - La vita militare.djvu/316

308 l’esercito italiano


— Basta un soldo? — domandò un terzo. — Basta, sì. — Ne ho uno anch’io. — Io pure. — E così tutti i soldati porsero l’uno dopo l’altro il loro soldo, e il sergente, a misura che li pigliava, — bravo! — diceva a questi, e a quegli — bene, — e a quell’altro — benone. — O che bravi ragazzi! — esclamò poi quand’ebbe tutti i soldi nelle mani; — ma.... ancora una cosa.

— Che cosa? — dimandarono i soldati.

— Pane.

— Pane? Oh se non è che questo, — risposero alcuni, — ce n’è d’avanzo. E prima gli uni e poi gli altri tagliarono ciascuno una fetta del loro pan nero.

— Dove lo mettiamo? — domandò uno.

Un caporale prese una bacchetta di fucile e infilò tutte le fette di pane che gli vennero date. I soldati ridevano.

— E adesso chi porta i denari e il pane alle bambine? — domandò il sergente.

— Il più bello — rispose una voce. Tutti risero e approvarono.

— Eh sì, il più bello, vattel a pesca! Chi sarà questa bellezza?

— Io! — esclamò un soldato napoletano che aveva nome di essere il più brutto della compagnia, e fra le risa dei compagni si fece innanzi, si mise in tasca i denari, pigliò la bacchetta col pane e s’avviò col sergente per uscire. Tutti gli altri batteron le mani. — Oh insomma! — gridò il napoletano volgendosi in tronco verso i suoi compagni; — la volete finire? Vergogna, ridere alle spalle di chi fa le opere di carità! — Ed uscì mentre nel camerone scoppiava un’altissima risata. Il sergente m’incontrò su per le scale e, credendo che io andassi su pur allora, — ah! signor tenente, — mi disse piano colla voce commossa, — se lei avesse visto!