voleva essere il primo ad avere la sua cucchiaiata di
brodo, si gettavan tutti assieme sulle marmitte, vi cacciavan
dentro le scodelle a dieci a dieci, respingendosi
e percotendosi l’un l’altro e urlando come forsennati,
donne, vecchi, fanciulli, alla rinfusa; tutte faccie scarne,
con una certa espressione tra bieca e insensata, che destava
in un punto paura e pietà; sordidi, cenciosi, seminudi,
in uno stato che mettevan ribrezzo. In que’ momenti
i soldati li lasciavano fare, nè io poteva pretendere che li
tenessero a dovere, a meno che si fosse risoluti a far del
male a qualcuno; ma, appena cessata la confusione, essi
chiamavano in disparte, ad uno ad uno, i fanciulli e le
donne che pel solito eran rimasti a bocca asciutta, e davan
loro da mangiare, tenendo indietro tutti gli altri che in un
momento si riaffollavano e ricominciavano a chiedere. E
questo era un affar di tutti i giorni. Non parlo dei soldati
ogni momento fermati per le vie da famiglie intere
di mendicanti, attorniati, perseguitati, tanto che s’eran
ridotti a non uscir più di caserma e a contentarsi di
passeggiar nel cortile. Eppure amavano meglio di stare
in quel paese dove i poveri non li lasciavano in pace,
anzichè in quegli altri dove li fuggivano per paura del
veleno; chè anzi in quello stesso esser tanto implorati
e importunati, in quel vedersi, in certo modo, fatti
schiavi della povera gente, essi trovavano una specie di
compiacimento, ed era quell’intima dolcezza che nasce
dalla pietà quando la si può esprimere ed esercitare colla
beneficenza. E la pietà la sentivano quei buoni soldati,
e la beneficenza la esercitavano col miglior cuore del
mondo. Non solamente facevan delle limosine ciascuno
per conto proprio quando lo potevano e se ne offeriva
l’occasione; ma ogni volta che io, essendoci costretto
da qualche supremo bisogno del paese, ricorsi alle loro
povere borse dopo aver dato fondo alla mia, li trovai