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durante il colèra del 1867. | 303 |
riaversi e guardandosi intorno e non riconoscendolo sua ordinanza, domandava: — Chi sei? — e poi, inteso il nome: — Chi t’ha mandato? — E il buon soldato rispondeva: — Son io che ho voluto venire... — E perchè? — Oh non si può esprimere quel che rispondevano allora gli occhi di quel soldato, e quel che passava nel suo cuore stringendo la scarna mano che si protendeva a cercare la sua! Qualche altra volta, invece, egli ritornava dopo pochi giorni alla caserma, e appena entrato andava a sedere sul letto e si metteva a frugare colla spilla del fucile dentro il luminello, che è una faccenda per cui occorre tener bassa la testa e si possono così nascondere gli occhi.
Gli ufficiali andavano assiduamente a visitar gl’infermi negli ospedali, e ci andavano per lo più molti assieme per aver agio di fermarsi al letto di tutti, e così nessuno avesse motivo di rattristarsi e disanimarsi, vedendo visitati i suoi compagni e non sè. Quelle visite eran diventate un bisogno pei poveri malati. A quell’ora solita essi sentivano giù per le scale il rumore di quelle sciabole, il suono di quelle voci, correvano subito coll’occhio ad aspettarli alla porta, e quand’essi apparivano e si sparpagliavano per le camere dell’ospedale, tutte le faccie si rasserenavano, ed anco negli occhi immobili dei più aggravati errava un qualche lieve lume di speranza e di consolazione. Poveri giovani! C’era dei giorni che il rumor delle sciabole si faceva sentire un’ora più tardi, ed essi in quell’ora stavan tutt’occhi e tutt’orecchi al più lieve strepito, al più piccolo moto; ogni momento credevano di sentir quei passi e quelle voci, e andavan fantasticando quali impedimenti potevano esser sorti, quali disgrazie accadute, e in quello stato d’ansietà il senso del male si faceva più vivo. — E non vengono, e non verranno più, e io sto