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302 | l’esercito italiano |
l’espressione di speranza, i soldati eran desti improvvisamente da uno scoppio di grida acute o di languidi lamenti, e vedevano i loro compagni balzare in piedi, affollarsi attorno a un letto, sopraggiungere a passi concitati l’ufficial di picchetto, il dottore, i soldati di guardia, e indi a poco tutti far largo, e quattro di quei soldati allontanarsi portando un pagliericcio con suvvi disteso un morente, e poi un po’ di bisbiglio, e finalmente tutti un’altra volta a letto, e silenzio come prima. La mattina, appena desti — Caporal di settimana — domandavano ansiosamente i soldati.... — ebbene? — Morto. — Morto! — E si guardavano l’un l’altro nel viso.
In molti corpi, e in qualcuno più d’una volta, si dette il caso che fossero nello stesso tempo presi dal colèra un ufficiale e la sua ordinanza. E in tutti quei corpi, io l’udii raccontare cento volte, seguì questa scena. La sera, dopo fatta la visita, il furiere annunziava alla compagnia la disgrazia ch’era accaduta. — Chi vuoi assistere l’ufficiale?
— Io. — Io. — Anch’io. — Ma se l’ho già detto io, è inutile che lo dica anche tu. — Oh guarda! son padrone di dirlo anch’io. — Ma se son stato io il primo. — Ma se ti dico....
— La volete o non la volete finire? — gridava il furiere? — Tutti tacevano. — Lo assisterete voi — e indicava il soldato che s’era offerto pel primo. E questi faceva un sorriso di trionfo, e quegli altri si rassegnavano a stento. L’indomani mattina, prima dell’alba, il generoso infermiere era accanto al letto dell’ufficiale malato, e là passava i lunghissimi giorni, solo, muto, intento, e vegliava le notti al lume d’una lanterna, seduto sur una seggiola in un canto della stanza. Oh chi fosse stato là presente quando l’infermo, cominciando a