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durante il colèra del 1867. | 299 |
l’ultima voce raccolta nel paese, ch’era quasi sempre voce di sventura. Chi noi sapesse altrimenti, avrebbe potuto capire che cosa in que’ crocchi si diceva e si pensava, guardando in ogni camera le poche faccie rischiarate dal lumicino posto sopra la porta.
— Lo sapete? A Grammichele hanno ucciso un carabiniere; i soldati l’hanno trovato morto in un fosso; dicono che aveva la faccia tutta pesta e sformata che non si riconosceva più, e le braccia e le gambe mezzo rosicchiate dai cani. — Qualcuno domandava perchè l’avessero ucciso. — Perchè avvelenava la gente. — Un sorriso amaro sfiorava la bocca degli ascoltatori. — Avete intesa la notizia? A Belpasso hanno assassinato il delegato di pubblica sicurezza. — A Monreale hanno preso a fucilate i bersaglieri. — In Ardore hanno ammazzato e sbranato il capitano della guardia nazionale e il sottotenente Gazzone. — Nel tal altro paese hanno affisso ai muri un proclama in cui è detto che i soldati bisogna scannarli e bruciarli quanti sono e distruggere dalle fondamenta tutte le caserme.... — Ma tutto questo perchè? — Perchè avveleniamo la gente, avete capito? —
S’udiva un rullo di tamburo; la compagnia si schierava, si faceva l’appello; metà dei soldati mancavano. Il furiere leggeva i nomi, e ad ognuno che mancasse, il caporale di settimana, ritto accanto a lui col taccuino in mano, gli veniva suggerendo a bassa voce: — È infermiere al lazzeretto —, è di pattuglia in campagna —, è di ronda in paese —, è di servizio al camposanto, — è morto, — e a quest’ultime parole seguiva nelle file un movimento di sorpresa e un mormorio di compassione. — Silenzio! — gridava il furiere; — attenti al servizio di domani. — E leggeva i nomi di quelli ch’eran destinati ai vari servizi per il giorno dopo, e il più delle volte eran quasi tutti i presenti. Nessuno fiatava. Qual-