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durante il colèra del 1867. |
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ma, l’intenzione però e l’efficacia di comandi diretti e
assoluti, onde agli atti che ne seguono non si può attribuire
il merito della spontaneità; ma questo, per cause
diverse, non poteva accadere nell’occasione del colèra.
Perchè allora, nella massima parte dei casi, i soldati
capivano, vedevano chiaramente che la salute dei paesi
in cui si trovavano era riposta nelle loro mani; che in
certi momenti estremi non c’era altri che loro da cui
potessero scongiurarsi certe estreme sventure; d’ogni
loro atto, d’ogni loro sacrifizio erano immediati ed evidenti
gli effetti; per ogni moneta, per ogni tozzo di pane
ch’essi porgessero era là pronta la mano scarna d’un
affamato ad afferrarlo; la pietà era tenuta viva dallo
spettacolo continuo della sventura, e non c’era luogo ad
alcun dubbio o ad alcuna diffidenza che il sentimento di
quella pietà intepidisse o facesse esitare. Nè si può ragionevolmente
supporre che l’influenza dei superiori
avesse parte nelle opere caritatevoli che non erano fatte
per obbligo di servizio o per altra necessità assoluta, poichè
quelle necessarie e obbligatorie erano sì frequenti e
sì gravose per sè, che nessun superiore avrebbe potuto
pretenderne dell’altre senza che proprio gliene rimordesse
la coscienza. Di più, essendo i corpi scompartiti
in un gran numero di piccolissimi distaccamenti, e quegli
stessi distaccamenti operando il più delle volte suddivisi,
l’azione che potevano esercitare i superiori sui
loro subordinati per ottenerne qualcosa più in là del dovere,
era tenuissima; sarebbe anco stata insufficiente a
far sì che ciò ch’era di dovere si facesse, se di quell’azione
ci fosse stata la necessità. Per altra parte le
stesse prescrizioni dei superiori non giungevano mai sin
là dove l’opera dei soldati giungeva, poichè certi sacrifizi
son di tale natura, da non potersi imporre per nessun
fine e in nessuna maniera; e i lettori vedranno quali