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296 l’esercito italiano

di passioni feroci. Lo stesso era dei medici militari, a cui oltre la cura de’ soldati incombeva quasi da per tutto quella del popolo, del quale bisognava che prima essi distruggessero i pregiudizi e vincessero le repugnanze e gli odi ragionando e pregando. Lo stesso dei comandanti dei corpi, incalzati da mille bisogni, stretti da mille difficoltà, affollati da mille cure, sempre in apprensione per la loro truppa divisa e sparsa di qua e di là, continuamente in giro e in pericolo. Per tutti poi un immenso dolore: quello di dovere ogni giorno dire addio per sempre a tanti bravi soldati, a tanti buoni compagni, a tanti amici da lungo tempo diletti.


Ma tutti questi servigi, questi sacrifizi, queste opere di carità, che pure accennate di volo, come io le accennai, bastano a destare in petto d’ogni buon cittadino un palpito di entusiasmo riconoscente, non possono tuttavia, come già dissi, estimarsi e lodarsi quanto si conviene ove intimamente non si conosca con che cuore venissero fatte e in che modo. Questo è ciò che ho in animo di dire e che importa si conosca particolarmente da coloro i quali negli atti generosi dei soldati non sogliono vedere ed apprezzare che gli effetti immediati e necessari della disciplina che comanda e castiga; non mai gli effetti naturali e spontanei del cuore, che quella stessa disciplina educa, ingentilisce e feconda. È vero, in fatti, che nelle congiunture dei tempi ordinari, quando il soldato non capisce o non vede o vede troppo alla lontana il frutto dell’obolo che gli si richiede a sollievo di qualche pubblica sventura, o quando non comprende di qualche altro sacrifizio la necessità imperiosa e può credere che vi sia chi lo possa o lo debba fare in sua vece, è vero che, in tali congiunture, i desiderii o gl’inviti dei superiori assumono in più delle volte, se non la for-