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durante il colèra del 1867. 295

vano collette di danaro per le famiglie più indigenti; in alcuni paesi si distribuiva ogni giorno una quantità di pane; altrove di carne e minestra; dove non si poteva dar altro, si davan gli avanzi del rancio, si dava della paglia, dei panni vecchi, qualche cosa. In molti corpi si costituirono comitati di soccorso permanenti; gli ufficiali andavano ogni giorno in volta per le case dei poveri, a recar soccorsi, a dar consigli, a invigilare; i soldati somministravano agli ospedali i pagliericci dei loro letti, si offrivano spontanei di andare ad assistere gl’infermi nei lazzeretti e nelle case private, e v’andavano e vi facevano coraggiosamente e lietamente il loro dovere sino all’estremo. Nei paesi rimasti privi di farmacisti andavan essi a distribuire le medicine nelle botteghe, sorvegliati dai medici militari, e le portavano alle case dove occorrevano. In altri luoghi, dov’eran chiuse persino le botteghe degli alimenti più necessari alla vita, fattele aprire a forza, provvedevano essi stessi o soprintendevano alla vendita. Spesso eran costretti a tener aperti i mercati, parte sorvegliando lo spaccio dei generi, parte tutelando l’ordine e la pace continuamente minacciata. Frequentissimamente, sia nei villaggi che nelle città, dovevano impastare e infornare il pane, lavoro che non si volea far da alcuno per la idea che sudando si contraesse il colèra; e non di rado si riducevano a spazzare le strade e le case dei poveri insieme ai carabinieri e alle guardie di sicurezza pubblica perchè non c’era chi si volesse sobbarcare a una fatica, dicevano, così gravemente pericolosa. Incarichi meno umili, ma assai più inusati e difficili, toccavano spesse volte agli ufficiali, che dovean farla da sindaci nei villaggi disertati dalle autorità, e talora da medici, e sempre da limosinieri e da missionari di civiltà in mezzo a popolazioni stupidite ed esasperate dalla paura e dai patimenti, e accese