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294 | l’esercito italiano |
esterrefatti, si vestivano in furia, accorrevan gli ufficiali, si poneva mano alle armi, si scendevano precipitosamente le scale, si faceva impeto sopra la folla. La folla si apriva, si sparpagliava, tornava ad accalcarsi, urlando, fischiando, gittando sassi, e i soldati un’altra volta facevano impeto, e un’altra volta la folla si sperdeva, e avanti così per delle ore, per tutta la notte, molte volte per tutta la mattina seguente. Quando gli assembramenti eran di poca gente uscivan disarmati, tentavano di quetarli colle buone parole, colla persuasione, coll’amorevolezza; ci riuscivano tal volta; tal altra erano aggrediti, percossi, e allora ritornavano di corsa alla caserma, s’armavano, uscivano di bel nuovo; i sediziosi si rinchiudevano nelle case, traevano le fucilate dalle finestre; bisognava gettar giù le porte, penetrar nelle case, venire alle mani. Il giorno continue fatiche; la notte sonni brevi ed interrotti; ansietà e pericolo sempre.
Oltre tutto ciò, nella maggior parte dei paesi, bisognava che i soldati andassero a levar via i cadaveri dalle case, a trasportarli ai cimiteri sui carri del reggimento, a scavar le fosse e seppellirli. Talora il popolo vi si opponeva fieramente; bisognava penetrare nei suoi luridi abituri colle baionette alla mano, impadronirsi dei cadaveri a viva forza. Questi cadaveri bisognava qualche volta andarli a cercare per la campagna, e quando le braccia dei soldati non bastavano all’uopo, era mestieri obbligare i contadini a prestar l’opera loro, minacciandoli, trascinandoli. Bisognava impedire alla gente di fuggir dai paesi, inseguirla, ricondurla alle proprie case, tradurvela proprio a forza, pigliando pel braccio uno ad uno intere famiglie di pezzenti, torme di fanciulli e di donne che rompevano in pianti e grida disperate.
In tutti i corpi, in tutti i distaccamenti si face-