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22 l’ufficiale di picchetto.

seduti a tavolino, con un buon pranzo in corpo e un sigaro da sette in bocca; niente di più facile. Il guaio è per i poveri diavoli che ci hanno da stare, all’orario. Gli è sempre in basso che si sgobba. Che un povero uffiziale di picchetto non abbia tempo a fare un po’ di chilo, o che importa a certi signori? Sgobbi, sgobbi; e se sgarra, dentro. In fin dei conti...

E le mutande erano andate a riposar coi calzoni.

— In fin dei conti poi, chi ha da capitare qui a quest’ora, alle dieci? Chi si piglierà la scesa di testa di venire a vedere se io faccio o non faccio la ronda? Fuori, un freddo da cani, un vento che fa gelar la faccia; una strada poi, che c’è da rompersi il collo ad ogni passo. Il colonnello sta dall’altra parte della città, e poi non è solito a far delle sorprese. Il maggior di servizio... oh quello lì è ammogliato e non c’è pericolo che si risolva a venire. Il capitano d’ispezione a quest’ora è là che fa la sua partita a tarocchi e non gli salta certo il ghiribizzo di trascinarsi fin qua. E poi, e quand’anco venisse? Convien pure...

Intanto s’era ficcato nel letto, tutto tremante di freddo, e rannicchiandosi e rivoltandosi mollemente sotto le coltri moveva le labbra ad un risolino di voluttuosa poltroneria.

— Convien pure che picchi per farsi aprire. E prima che il caporale di guardia l’abbia sentito, e si sia mosso, ed abbia trovato il buco della serratura, ed abbia aperto, son cinque minuti che corrono ed io ho tempo di vestirmi o bene o male, volare alla porta, aprirla, afferrar la lanterna nel corpo di guardia e via nei cameroni a recitare la mia parte...

E qui die’ un gran soffio nel lume, si tirò le coperte sul capo, si voltò sopra un fianco, cercò una comoda positura e chiuse gli occhi, pensando: — e via nei