|
durante il colèra del 1867. |
289 |
opinione che sovente gli attaccati dal colèra paiano, ma non
siano morti davvero, e rinvengano dopo qualche tempo. Si
poneva ogni cura a deludere le ricerche delle Autorità.
Spesso si resisteva colla forza agli agenti pubblici che venivano
per trarre dalle case i cadaveri corrotti; si gettavano
questi cadaveri nei pozzi, si sotterravano segretamente nell’interno
delle case. In alcuni paesi, per trascuranza delle
Autorità o per difetto di gente che si volesse prestare al
pietoso ufficio, i cadaveri, comunque non contesi dai parenti,
si lasciavano più giorni abbandonati nelle case, o
venivano gettati e lasciati scoperti nei cimiteri, o si ricoprivano
di poche palate di terra, così che intorno intorno
ne riusciva ammorbata l’atmosfera, e non si trovava più
chi volesse avvicinarsi a que’ luoghi, e bisognava scegliere
altri terreni alle sepolture. I pregiudizi volgari
venivano segretamente fomentati dai borbonici e dai clericali.
Eran sospetti di veneficio tutti gli agenti della
forza pubblica, i carabinieri, i soldati, i percettori delle
dogane, gli officiali governativi. In alcuni paesi della Sicilia
era sospetto di avvelenamento qualunque italiano
del continente; in qualche luogo tutti indistintamente gli
stranieri erano sospetti. Si spargevano e si affiggevano
per le vie proclami sediziosi, eccitanti alla vendetta ed al
sangue. Tratto tratto le popolazioni armate di falci, di
picche, di fucili, si assembravano, percorrevano tumultuosamente
le vie del paese cercando a morte gli avvelenatori;
minacciavano o assalivano le caserme dei carabinieri
e dei soldati; irrompevano nelle case dei medici,
e le mettevano a sacco; si gettavano nelle farmacie e vi
distruggevano e disperdevano ogni cosa; invadevano l’ufficio
del comune, laceravano la bandiera nazionale, abbruciavano
i registri e le carte; costringevano le guardie
nazionali a batter con loro la campagna in traccia degli
avvelenatori; andavano a cercarli nelle case; credevano