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l’ufficiale di picchetto. 21

come un palo dinanzi alla tabella dell’orario, affissa ad una delle pareti sotto il ritratto del Re. Puntò l’indice in fondo al foglio e cominciò a farlo serpeggiare sotto le righe leggendo rapidamente e masticando le parole in suono inarticolato e stizzoso, finchè si fermò ad un tratto e pronunciò con voce distinta: Ronda nell’interno delle camerate, alle undici. — Ih! — soggiunse tosto ritornando verso il letto e battendo con forza il candeliere sopra il tavolino, n’ero ben certo io! — e stava lì dritto, immobile, cogli occhi fissi sul guanciale, e le mani in atto di sbottonare la tunica.

Ronda! Ronda! — prese a dir poi, facendo lentamente uscir dall’occhiello bottone per bottone; — dopo essere stati in piedi tutto il giorno, dopo aver corso di qua e di là e di su e di giù senza un minuto di requie, ed essersi sfiatati a gridare dalla mattina alla sera, viene finalmente l’ora di posar le ossa in un po’ di letto e godere un momento di pace; ma nossignori, c’è la ronda! la ronda alle undici. Voi dovete pigliare in mano la vostra brava lanterna e da capo a girare, a frugare, a strillare, e perchè tutti siano a letto, e perchè la cantina sia chiusa, e perchè non aprano il portone, e perchè nessuno se la batta dalle finestre, e dàgli e dàgli, che la durerà fin che la può durare. Finalmente...

Intanto aveva gettata la tunica sopra una seggiola accanto al letto.

— Finalmente sono di carne anch’io come tutti gli altri, e la pelle pel servizio non ce la voglio lasciare; oh no di sicuro. Già a questo modo non si va più avanti; è impossibile. Senza burle, non c’è nemmeno tempo per mangiare, non c’è; e la tabella è lì che lo può dire. Niente di più facile...

E i calzoni erano andati a far compagnia alla tunica.

— Niente di più facile che metter fuori un orario,