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280 | il mutilato. |
pirai anche tu. E poi, e poi.... io, già, ti dico schietto che, se era proprio destino che mi toccasse una disgrazia come questa, tra l’averla toccata qui ruzzolando giù da un carro o giù da una scala, e l’averla toccata là, preferisco là. È naturale. Non ti voglio mica dire con questo che io mi trovi contento del mio stato d’adesso; ma in fin dei conti, vedi, in questo mondo ci si ha da star poco, e quando c’è della gente che ci vuol bene, questo è quel che preme, il resto che importa? Io son tornato così come vedi; ebbene, e che per questo? Forse che mia madre, e mio padre, e qualcun altro mi vogliono meno bene di prima? —
E alzò gli occhi su di loro. I vecchi genitori, giungendo le mani, esclamarono: — Oh Carlo! — Qualcun altro non fece che lanciargli un lungo sguardo d’inesprimibile tenerezza.
— Più di prima, — egli prosegui coll’accento e col volto improvvisamente animati, — più di prima. E tutti, dopo che mi colse questa disgrazia, mi vollero più bene di prima, tutti. Se tu ti fossi trovato all’ospedale con me, avresti visto delle cose da non credersi, caro mio. Dopo una ventina di giorni ch’io era là, passò per quella città il mio reggimento; tutti gli uffiziali della compagnia son venuti a vedermi, e anche degli altri, capisci? E son venuti intorno al mio letto, e ci stettero una buona mezz’ora, e c’era il capitano che mi guardava e piangeva, e un altro uffiziale, un giovinetto senza barba, anche lui. E gli ho visto io co’ miei occhi calar le lacrime giù per la faccia. E un altro uffiziale (io aveva un po’ di febbre) mi posò la mano sulla fronte, e un suo vicino gli disse: — Levala, gli dài fastidio. — E mi raccomandarono al dottore e agli infermieri e mi dissero che facessi scrivere alla mia famiglia; ma senza dire che cos’era accaduto, chè n’avrebbero sofferto troppo. E