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il mutilato. 277

dire una parola, una sola parola; ma non gli bastava il fiato a mandarla fuori intera, e si andava sforzando, sforzando, finch’ella eruppe tre volte, sonora, sviscerata, entusiastica: — Oh grazie! Grazie! Grazie! —

E la prese per le braccia e fe’ atto di sollevarla.

— No! no! — ella rispose con un accento risoluto in cui si sentiva tutta la veemenza del suo vergine affetto; — lasciami stare così, voglio stare così. — E si rasciugò gli occhi e proseguì concitata:

— Staremo sempre assieme. Io non andrò più a lavorare in campagna, ti starò tutto il giorno vicina, non ti lascerò mai solo un momento, lavorerò in casa, seduta accanto a te, così come adesso.... Ma che cos’hai, Carlo, che piangi in quel modo? Dimmelo a me, che ti voglio tanto bene....; che cos’hai?

— Ma.... — le rispose il poveretto con voce timida e tremante, — ed io...?

E non potè seguitare.

— E tu?... Ebbene, che vuoi dire con ciò? Dimmi tutto, Carlo.

— Ed io! io! come faccio a lavorare io? — e chinò la testa fra le mani scotendola in atto disperatamente sconsolato.

— Ma Carlo, ma perchè mi parli in quel modo? Ma non ci son io per te? Non ci siamo tutti? Io a cucire in bianco son buona; capirai non lo dico mica per lodarmi; con te, figurati!.... E la signora, quella tale, sai, quella della villa qui accanto, m’ha già offerto del lavoro altre volte, ed io ho sempre detto di no; ma adesso...., e tanto più quando essa saprà che sei tornato così....; ed io mi porterò il lavoro in casa, sta bene? E lavorerò accanto a te, e tu mi racconterai tutto quello che hai visto, e i paesi e le campagne dove siete passati, e se ti ricordavi sempre di me, e cosa facevi tutto