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266 | il mutilato. |
alla fidanzata e agli amici, si cacciò le mani nei capelli in atto di desolazione disperata, e pianse.
Ma era tardi.
Giunse nella città vicina a casa sua la sera prima del giorno in cui, giusta la lettera, sarebbe arrivato tra i suoi. Dormì in un’osteria. L’indomani per tempo, aiutato dall’oste, salì sul baroccio di un mugnaio che aveva da passare per quella tal via della collina; posò le gruccie da un lato, si adagiò sopra due sacca di farina, il mugnaio die’ una voce al cavallo, il carro partì.
Correndo la via per parecchie miglia in fondo alla valle, il carro non cominciò a salire su per la collina che alcune ore dopo ch’era partito. In quell’ore, il nostro poveretto che non aveva potuto chiuder occhio la notte, oppresso com’era stato da una rapida e torbida seguenza di pensieri, d’immaginazioni e di presentimenti dolorosi, in quell’ore era caduto in una specie d’assopimento, conciliato dalla monotonia della strada e dalla lentezza dell’andare, e non interrotto che a quando a quando dai sobbalzi del carro sulle ineguaglianze del terreno. Ma quando, sentendosi tutt’ad un tratto ferir gli occhi da una luce più viva e alitare nel volto un’aria più acuta, s’accorse che il carro era uscito di mezzo agli alberi e cominciava a salire, allora si destò di soprassalto, intravide quella collina, quella via, quelle case, richiuse gli occhi all’istante, torse la testa all’indietro come preso da un subito spavento e si gettò bocconi sulle sacca colla faccia tra le mani. Il cuore gli faceva un gran battere; il sangue gli si rimescolava violentissimamente; il cervello gli si era ad un tratto stordito come per un gran colpo sul capo. E restò lungamente in quella positura.
Se ne tolse poi a poco a poco, alzando prima la testa, appuntellando le mani sulle sacca per rizzarsi a se-