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260 il mutilato.


In quell’ora, chi passa dinanzi alla porta d’un cimitero non vi si arresta, comunque non gli attraversino la mente le fantastiche paure del volgo e dei fanciulli; tira diritto, non getta nemmeno uno sguardo al cancello, volta la faccia dalla parte opposta. Passando dinanzi alle cappelle solitarie della campagna, i fanciulli son quasi impauriti dal rumore del proprio passo che, entrando per le aperte finestre, echeggia sotto la volta oscura. In quell’ora, e fin che in occidente si vede un barlume di luce, le famiglie dei villeggianti stanno sulle terrazze, appoggiate al parapetto, a contemplare tacitamente quel mesto spettacolo che è il calar della notte sulla campagna; i ragazzi si accennano l’un l’altro col dito i lumicini che spuntano man mano nei casolari campestri, o chieggono al babbo i nomi delle stelle, e se ci sia dentro della gente come noi; le fanciulle, sedute in disparte, con un braccio sulla spalliera della seggiola e la testa reclinata sul braccio, figgono l’occhio senza sguardo sui monti lontani, e pensano. Ma non pensano a quei monti; in quei momenti il loro pensiero si ritrae infastidito da quella solitudine e da quel silenzio severo; in quei momenti, sebbene elle siano in mezzo alla famiglia, si senton sole, abbandonate; sentono che un qualche gran bene lor manca, sentono che nel loro cuore v’ha un grande vuoto, che la vita esse non la vivono intera; e la loro fantasia corre irresistibilmente alla città, s’interna nel tumulto amabile dei balli, cerca e ritrova dei cari aspetti già da lungo tempo dimenticati, gode nel ravvivarne la immagine, nel farsela presente là, al proprio fianco, a partecipare con loro di quella melanconia soave; e contano il tempo che dovranno ancor passare alla villa, e precorrono colla mente quel tempo, e pregustano la gioia del ritorno e del primo rivedere quei va-