more che quel dei suoi passi, quell’abbaiar di cani gli
comincia a dar noia, gli comincia a riuscire increscioso;
non è già ch’ei n’abbia paura; ma, che so io? ne farebbe
di meno, via. Passando dinanzi alle porte degli
orti e dei giardini egli va in punta di piedi per non destare
il cagnaccio accovacciato là dietro, tien sospeso il respiro,
l’orecchio teso; è già quasi oltre la porta, è già quasi
al sicuro, quando gli scoppia alle spalle un maledetto
latrato che lo rimescola tutto; ed ei tira via senza volgersi
indietro; ma gli par di vederlo il rabbioso bestione
col muso allo spiraglio delle imposte e gli occhi arrovellati:
ih! poterlo sventrare! E va oltre; ma nel mezzo
della strada, chè non gli cale del polverio, pur di non
passare troppo accosto alle siepi; non ci si vede dentro;
potrebb’esservi qualcuno appiattato; non sarebbe la prima
volta. S’ei si sente alle spalle un rumor di passi o la voce
di due viandanti che discorrono tra loro, non si volta
mica indietro a guardar chi sono come se n’avesse sospetto
o paura, chè sarebbe parere un dappoco; ma
tira innanzi cogli orecchi all’erta e, fingendo di guardar
nei campi da un lato della via, te li esplora colla coda
dell’occhio. E se spingendo lo sguardo dinanzi a sè vede
apparir lontano e venir lentamente verso di lui due
uomini a cavallo, avviluppati in un ampio mantello nero
e coperti il capo d’un cappello a due punte, il cuore gli
si riconforta, affretta il passo, e giunto di fronte a quei
due inattesi amici, cede loro tutta la via ritraendosi sur
una delle prode, e guardandoli con un’espressione di ossequio
amorevole e accogliendo con un cotal sentimento
di compiacenza il lungo e severo sguardo indagatore che
ne riceve. Quando finalmente arriva a quelle benedette
porte della città e scorge i primi lampioni della prima
via: — Sia lodato il cielo! — esclama spolverandosi le
scarpe col fazzoletto; — ci siamo.