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il mutilato. 259

more che quel dei suoi passi, quell’abbaiar di cani gli comincia a dar noia, gli comincia a riuscire increscioso; non è già ch’ei n’abbia paura; ma, che so io? ne farebbe di meno, via. Passando dinanzi alle porte degli orti e dei giardini egli va in punta di piedi per non destare il cagnaccio accovacciato là dietro, tien sospeso il respiro, l’orecchio teso; è già quasi oltre la porta, è già quasi al sicuro, quando gli scoppia alle spalle un maledetto latrato che lo rimescola tutto; ed ei tira via senza volgersi indietro; ma gli par di vederlo il rabbioso bestione col muso allo spiraglio delle imposte e gli occhi arrovellati: ih! poterlo sventrare! E va oltre; ma nel mezzo della strada, chè non gli cale del polverio, pur di non passare troppo accosto alle siepi; non ci si vede dentro; potrebb’esservi qualcuno appiattato; non sarebbe la prima volta. S’ei si sente alle spalle un rumor di passi o la voce di due viandanti che discorrono tra loro, non si volta mica indietro a guardar chi sono come se n’avesse sospetto o paura, chè sarebbe parere un dappoco; ma tira innanzi cogli orecchi all’erta e, fingendo di guardar nei campi da un lato della via, te li esplora colla coda dell’occhio. E se spingendo lo sguardo dinanzi a sè vede apparir lontano e venir lentamente verso di lui due uomini a cavallo, avviluppati in un ampio mantello nero e coperti il capo d’un cappello a due punte, il cuore gli si riconforta, affretta il passo, e giunto di fronte a quei due inattesi amici, cede loro tutta la via ritraendosi sur una delle prode, e guardandoli con un’espressione di ossequio amorevole e accogliendo con un cotal sentimento di compiacenza il lungo e severo sguardo indagatore che ne riceve. Quando finalmente arriva a quelle benedette porte della città e scorge i primi lampioni della prima via: — Sia lodato il cielo! — esclama spolverandosi le scarpe col fazzoletto; — ci siamo.