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il campo. 257

abbottonar le ghette con quelle maledette dita convulse che non trovano gli occhielli, a tastar bocconi la paglia in cerca della catenella, della nappina, della baionetta, col viso rosso, colla fronte stillante di sudore, col respiro affannoso, colla febbre addosso dalla paura del secondo squillo di tromba, colla voce del sergente alle spalle che minaccia la prigione a chi tarda, con dinanzi lo spauracchio del capitano che pesta i piedi, che strilla, che strepita: presto, presto, presto! Un altro squillo di tromba. In rango! urlano cento voci concitate da tutte le parti. Tutti accorrono così come si trovano, col cheppì sul cocuzzolo, col cappotto sbottonato, col cinturino in mano, collo zaino penzoloni sur una spalla; a posto, presto, in ordine, allineati a destra; le compagnie si schierano tumultuariamente, si rompono e si allargano ad ogni nuovo sopraggiunger di soldati, poi si ristringono, fanno pancia avanti e indietro, serpeggiano dall’un capo all’altro, si scompigliano, si riordinano con rapida vicenda... Un altro squillo di tromba. Il reggimento parte. La prima compagnia è fuor del campo, — la seconda — la terza.... il campo è vuoto.

Ecco la vita del campo; dura talvolta e disagiosa; ma sempre bella, sempre cara. Chi v’ha che l’abbia fatta e non l’ami, e non la ricordi con diletto, e non la

desideri con entusiasmo?


De Amicis 17