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il campo. 253

cavaliere — colonnello — comandante il reggimento? — La sentinella gli fa segno che passi e gli accenna colla mano la tenda del colonnello. Un barbone di zappatore corre ad annunziargli la visita. La famigliuola si fa innanzi a passo lento, rispettosa, circospetta; il colonnello esce, guarda, si ferma, aggrotta le ciglia come per distinguer meglio, guarda un momento al cielo come per riannodare le sparse reminiscenze di que’ volti, li ricorda, li riguarda, li riconosce, e spianando d’un tratto la fronte, e mandando fuori un oh! prolungato di sorpresa e di contentezza, s’avanza colle braccia tese e le palme aperte.... E lì, figuratevi, accoglienze ed inchini e domande e risposte affollate, e passar di palme sotto il mento ai bimbi, che son venuti su a occhiate, proprio, e si son fatti così bellini, e poi: — Eh, signora, esclama il colonnello per avviare un discorso qualunque, l’effettivo delle compagnie è forte, sa! Cento cinquant’uomini l’una, nientemeno; è un piacere. E che bel campo, eh? Lo vogliono vedere? Vogliono fare un giretto? — La famigliuola acconsente e ringrazia; il colonnello, dopo un po’ di riflessione, si pone al lato sinistro della signora, il marito al lato destro, i ragazzi avanti; la brigatella si muove. Tutti le fanno largo. Gli uffiziali la salutano. Un bisbiglio sommesso la precede; un bisbiglio sommesso la segue. E il colonnello, da quel rozzo e buon soldatone ch’egli è, costretto all’ingrato ufficio di cavaliere servente, dice alla signora: — Ecco, le vede là? Quelle son le marmitte della terza compagnia; quell’altre della quarta; codest’altre della quinta. Ella mi dirà che sono in cattivo stato, ed è vero; ma che vuole perchè.... — E le spiega il perchè. E la signora, in mezzo a quelle due ali di soldati, non sa dissimulare un po’ d’imbarazzo, un po’ di vergognetta; ma il papà, che sa di aver a fianco un colonnello, si sente maggior