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252 il campo.

la solita mano non giunge in tempo a frenarla..... Oh il bel piedino! E quegli uffiziali sanno d’esser guardati, e ne profittano e come! E infatti, vedete, quello là, per dirne uno, il primo, il più vicino al fosso, non terrebbe la sciarpa con quella sprezzata eleganza e non n’avrebbe fatto scorrere l’anello per modo che l’un fiocco gli riuscisse sul fianco e l’altro gli scendesse al ginocchio; quell’altro là non caccierebbe in aria i nuvoli di fumo levando così fieramente in alto la testa e non terrebbe le gambe e le braccia così napoleonicamente atteggiate, e codest’altro non porterebbe così di frequente le mani sulla nuca per accertarsi che quel po’ di divisa che il colonnello concede non s’è ancora disfatta.

Intanto s’avanza giù per la strada e s’arresta dinanzi all’entrata del campo una famigliola del villaggio: un papà vecchiotto, arzillo, tarchiatello, grassoccio, una di quelle faccie di una volta, con due vele da bastimento fuor della cravatta e due ciuffoni di capelli bigi sulle tempia e un par di zampe elefantine dentro due scarpe di tela greggia e un randello nodoso sotto un’ascella; un quissimile di segretario comunale che vive in buona pace con tutti, e arcicontento di sè e dello spiccato genio aritmetico che cominciano a spiegare i bimbi alla scuola; — una buona cera di mamma sotto un cappello a forma d’elmo romano; — e tre ragazzi vestiti dei panni migliori, pettinati, unti, lisciati e lustrati, e ancor pieni il capo d’una lezioncella di galateo recitata in fretta dalla mamma nell’atto d’uscir dalla porta di casa. Sono vecchi amici del colonnello. Vedete che fortunato accidente ch’ei sia venuto a piantare il campo là, proprio là, accanto a casa loro! Il papà con un faccione tutto piacevole e con un tentativo di voce soave: — Signor soldato, domanda a una sentinella toccandosi la grande ala del grande cappello, — si potrebbe riverire il signor