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il campo. 249

soldati. — A chi scrivi? domanda un uffiziale, soffermandosi dietro a un soldato che scrive. A casa scrivi? — Sissignore, risponde questi puntando in terra il ginocchio per rizzarsi in piedi. — No, no, sta pure; tira innanzi. È tanto tempo che impari? — Quattro mesi. — Fa’ vedere. Non c’è male. Bravo. — E va oltre. Si sofferma dietro a un altro: — E tu a chi scrivi, a tuo padre? — Il soldato accenna di no, sorridendo. — A chi dunque, alla mamma? — Neppure. — A chi?... — Il soldato segue a ridere, piega la testa contro la spalla e con una mano aperta finge di giocherellare attorno al foglio per celarne la prima parola. — ...Ho capito, briccone. — E quei due soldati sono contenti; una parola bastò a metterli di buon umore; forse, più tardi, s’imbrancheranno a ballare anch’essi; e costa così poco una parola!

Guardate un po’ sulla via, guardate chi giunge. Be’, mi direte, un furiere che reca una borsa a tracolla, e con ciò? Aspettate. Aspettate che quell’uomo abbia posto piede nel campo, che qualcuno l’abbia scorto, che sia passata la voce della sua venuta, e vedrete, nel campo, che rimescolamento, che scompiglio, che clamori. Eccolo, egli entra, e si dirige a passi celeri e furtivi, guardando attorno sospettosamente, verso la tenda; cerca di passare inosservato per cacciarsi un momento là sotto a porre un po’ di sesto in quel guazzabuglio di carte, chè se no sarà un vero rompitesta a distribuirle. Ma invano. Un soldato lo scorge, si volge ai compagni e dà un grido di gioia: Lettere! — Lettere? si domanda all’intorno accorrendo e cercando cogli occhi qua e là. Dov’è? Dov’è? — È andato per di qua — No, per di lì — Ah, eccolo là. — Tutti si slanciano là. Intanto la novella è volata fino ai limiti estremi dei campo; da tutti i crocchi dei soldati se ne staccano ad un punto due, tre, quattro, e via di corsa, e corri, e corri, su,