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248 | il campo. |
crollatina di capo come per cacciare quel po’ di malinconia che comincia a farsi posto nel cuore, si rizzano in piedi, e via, di corsa, a imbrancarsi cogli altri, a fare il chiasso, che tanto struggersi il cuore per cose che non han rimedio non mette conto.
Ma non tutti quei solitari mutano pensiero; molti dei soldati più giovani, taluni dei più vecchi restan là tutta la sera, a pensare, a pensare, strappando ad uno ad uno i fili d’erba d’intorno. Alcuni, seduti colle gambe incrocicchiate a mo’ di turchi, vanno strofinando con un cencio la baionetta, o rammendano i panni, o attendono a qualche altra faccenduola, accompagnando il lavoro con un canterellar lento, monotono, mesto il più delle volte ne’ pensieri e nelle note. Altri dan di piglio allo zaino, vi spiegan sopra un foglio di carta con suvvi dipinto un soldatino in atto di partire per la guerra, o un gran core passato d’una gran freccia; si stendono a terra bocconi, e tirano fuori un mozzicone di penna rugginosa, e pigiano e rimestano la spugnetta filosa d’un calamaro risecchito, e, dopo aver guardato più volte la punta di ricontro alla luce e averla premuta più volte sull’ugna e aver passato e ripassato sul foglio la palma della mano e soffiatovi su ritraendo e allungando il collo a più riprese, scarabocchiano di gran paroloni storti e tiran giù di grandi aste serpeggianti, volgendo a volta a volta la faccia in su come per domandar al cielo l’ispirazione di quella tal parola, di quella tal frase che non ricordano più, ma che hanno letta di sicuro, lo giurerebbero, l’hanno letta in un libro stampato, non san più quale. Come i soldati così v’hanno gli uffiziali dall’umor triste e dall’animo repugnante alle gioie chiassose, i quali, o stanno seduti a cavalcioni delle loro cassette, dinanzi alla tenda, con un libro in mano, od errano negli angoli romiti del campo, in mezzo a quei