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246 | il campo. |
denza del posto, uno finalmente la vince, pianta il piè sinistro innanzi, inclina la persona addietro, misura coll’occhio il terreno, si alza in punta de’ piedi a guardare il fosso, pensa, esita, si volge al vicino: — Salta prima tu. — Un uh! di vergogna si alza da tutte le parti. — Il vicino esita anch’esso, due o tre altri si ricusano. — Largo, largo, che salterò io, sclama un nuovo arrivato aprendosi un varco a furia di spintoni e di pugni. Gli si fa largo, viene avanti, si mette in pronto, si dondola avanti e indietro, avanti e indietro, adocchia il fosso, adocchia il terreno.... è partito. Divora lo spazio interposto, e sull’orlo — forza — bravo, è al di là, piantato sul piede destro, col sinistro in aria e le braccia alzate. La lira è sua; via subito a tracannarne un sorso. La gara è accesa; un altro saltatore s’è slanciato; un’altra lira è vinta. Un terzo parte: oh com’è fiacco! Giunge sull’orlo, spicca il salto, ahi! giù, dentro, lungo e disteso; acqua in faccia a tutti. Un urlo prolungato, sgangherato, erompe da tutte le bocche e finisce in una risata dai precordi, accompagnata da un fragoroso batter di mani. Il poveretto è salito a stento sulla sponda, tutto fradicio, tutto stillante, coi capelli sparsi e attaccati a ciocche sulle orecchie e sul viso, coi calzoni raggrinzati sulle gambe, colle braccia penzoloni... Ma gli uffiziali si muovono a pietà. — Un bicchier di vino a questo povero diavolo! — esclama l’un d’essi. E la faccia del povero diavolo si rasserena.
E i crocchi de’ cantatori? Oh quanti! Uno qui, uno là, un altro più in giù. Attorno alle tende, sotto gli alberi, a cinque, a dieci, a venti assieme. Questi gorgheggiano una romanza patetica con tanto di muso duro; quegli altri brilli a mezzo, con cert’occhi lustri e certe cere imbambolate, schiamazzano una canzonaccia da baccanale, sollevando con tutt’e due le mani un gamellino ad ogni ripresa di strofa, e cacciandovi la testa dentro