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il campo. 245

impetuosamente il capitano, non riuscendo però a celare sotto quella collera affettata tutto l’intimo compiacimento; — avete perduta la testa? Scioglietevi! — La brigata si sparpaglia di corsa in tutte le direzioni. Ma altri soldati, che hanno avuto sentore di quel po’ di festicciola accorrono. Tardi però; la botticella è vuota, e la borsa del capitano è chiusa. E i nuovi accorsi gironzano là attorno, sogguardano alla sfuggita, fanno, come suol dirsi, gli indiani, e voltano gli occhi in su a contemplare le nuvole, e dan della punta del piede ne’ sassolini, e sbadigliano sforzatamente; invano; il capitano non li vede, si allontana; ogni speranza è morta. Dunque, tanto vale far gli allegri; i nuovi venuti tornano là donde partirono, canterellando con quella voce agra e stentata, che pare ci voglia morire a mezza gola, quando abbiamo in cuore la stizza, e la vogliamo e non la possiamo dissimulare.

Ora guardiamo in un altro punto, laggiù, nell’angolo estremo. Lunghesso quel tratto del campo corre un canaletto largo un tre o quattro metri o giù di lì, e in esso un’acquarella fonda un par di palmi, tra due sponde molli e sdrucciolevoli. Sur una di quelle sponde parte giacciono e parte vagano a diporto i soldati della compagnia attendata là presso. All’improvviso da un crocchio d’uffiziali ritti sulla sponda opposta s’alza una voce: — Una lira da guadagnare! Chi salta questo fosso, eccola qua. — E di mezzo al crocchio si leva un braccia con una moneta in mano. Tutti si volgono, e corrono da quella parte. Io — Io — Io — Anch’io — Anche noi — Anche noi altri. Un ufficiale: — Vediamo. Schieratevi là. — E fa cenno colla mano. La folla gli volge le spalle, accorre confusamente a venti passi dalla sponda, si arresta, si volge indietro, si schiera, si dispone in semicerchio, i più animosi al centro, i più poltroni alle ali; tre o quattro del mezzo si disputano coi gomiti la prece-